Archivi annuali per 2011
Gli omini di pan di zenzero
Articolo originale della dottoressa Teresa Casacchia
Il Natale è arrivato e, come ogni buona tradizione che si rispetti, nelle case degli italiani vengono preparate prelibatezze di ogni genere, i cui profumi tipici fanno ritornare indietro con gli anni e ripercorrere, inevitabilmente, i corridoi dell’infanzia, lunghi labirinti fatti di cenoni, alberi di natale, regali, nonni, parenti e cugini.
Quando penso al Natale, non so perché, immagino spesso gli alberi addobbati con tanti gingerbread man, il simpatico omino di biscotto dai bottoncini di zucchero colorato diventato (almeno qui da noi) famosissimo grazie ai film di Shrek.
Così, negli ultimi anni mi sono dilettata nella realizzazione di omini e di casette di pan di zenzero, provando le ricette più disparate, alcune delle quali tradotte da vecchi libri di cucina dello zio americano.
Tra le tante ricette, quella che mi è sembrata più pratica e obiettivamente gustosa e profumata, è quella di seguito riportata.
Ingredienti
- 400 g di farina tipo 00
- 150 g di burro ammorbidito a temperatura ambiente
- 1 cucchiaino di bicarbonato
- 100 g di zucchero
- 150 g di miele
- 1 cucchiaio di zenzero
- 1/2 cucchiaio di cannella
- 1/2 cucchiaino di chiodi di garofano
- 1/2 cucchiaino di noce moscata
- 1 uovo
- 1 pizzico di sale
- a piacere si può aggiungere la buccia di 1/2 arancia e 1/2 limone
Preparazione
Versare in una ciotola tutti gli ingredienti tranne il miele e l’uovo. Lavorare fino al raggiungimento di un impasto “bricioloso”, aggiungere quindi il miele e l’uovo e continuare a impastare finché non si otterrà un composto liscio. Conservare in frigorifero avvolto in pellicola per un’ora e mezza o due.
Stendere con il mattarello una sfoglia di 5 mm circa e ricavare le sagome a piacimento. Infornare a 180°C per 10-12 minuti.
Per la decorazione si può usare cioccolato bianco sciolto a bagnomaria o pasta di zucchero.
Lo zenzero
È pur vero che la quantità che ne viene utilizzata per la preparazione dei biscotti è davvero insignificante per poter parlare di effetti nutraceutici, ma si può prendere in considerazione l’idea di utilizzare filetti di radice per la preparazione di gustosissimi piatti (dall’insalata al pesce).
Al supermercato, nell’area ortofrutta, è frequente trovare radici di zenzero di diverso colore (giallo, rosso o bianco) a seconda della varietà la cui pelle, di colore marrone, può essere più o meno spessa in base alle tecniche di coltivazione adoperate.
È necessario che, all’atto dell’acquisto, la radice sia integra, liscia e priva di muffe perché solo così si può essere certi di portare a casa un prodotto qualitativamente valido dal punto di vista igienico e da quello nutrizionale.
Una volta acquistato, è possibile conservarlo in frigorifero per un massimo di 3 giorni e in congelatore per un massimo di 4 mesi a patto che mantenga, in entrambi i casi, la pelle.
I benefici
Gli effetti benefici legati al consumo della radice di zenzero sono ampiamente contemplati nelle più antiche tradizioni asiatiche, zona geografica a cui si deve l’origine del prodotto.
Storicamente, lo zenzero veniva utilizzato per alleviare i sintomi legati a disturbi gastrointestinali, era considerato un eccellente carminativo (una sostanza che favorisce l’eliminazione dei gas intestinali) e un efficace spasmolitico intestinale.
La moderna ricerca scientifica ne ha confermato tutte le peculiarità e ha dimostrato che lo zenzero possiede una potente azione antiossidante (basti pensare al gingerolo, molecola appartenente alla famiglia della capsacina, antiossidante dal sapore piccante) e una significativa attività antinfiammatoria1,2 simile a quella svolta dai FANS3,4.
Numerosi autori inoltre (dagli anni 90 a oggi in letteratura è possibile rinvenire più di 50 riferimenti) suggeriscono che un suo regolare consumo in gravidanza, anche in piccole dosi, è in grado di ridurre al minimo le sensazioni di vomito e nausea5,6,7 così da evitare di ricorrere all’assunzione di farmaci antiemetici, spesso non privi di effetti collaterali.
I gingeroli, principali antiossidanti dello zenzero, oltre a mostrare una protezione antinfiammatoria e antiflogistica, sembrano contribuire alla riduzione dell’insorgenza di cancro del colon-retto8 e svolgere un’azione protettiva nei confronti del cancro ovarico incrementando significativamente la risposta immunitaria.
Caratteristiche nutrizionali (per 100 g di prodotto)
- Calorie 80
- Macronutrienti
- Acqua 78,89 g
- Proteine 1,82 g
- Lipidi 0,75 g
- di cui monoinsaturi 0,154 g
- Carboidrati 17,77 g
- Fibra 2,0 g
- Micronutrienti
- Minerali
- Calcio 16 mg
- Ferro 0,60 mg
- Magnesio 43 mg
- Fosforo 34 mg
- Sodio 13 mg
- Zinco 0,34 mg
- Rame 0,226 mg
- Manganese 0,229 mg
- Selenio 0,7 mg
- Vitamine
- Vitamina C 5 mg
- Tiamina 0,025 mg
- Riboflavina 0,034 mg
- Niacina 0,750 mg
- Acido pantotenico 0,203 mg
- Vitamina B6 0,160 mg
- Vitamina E 0,26 mg
- Vitamina K 0,1 mg
- Folati 11 μg
- Minerali
Fonti:
- Ahui ML, et al. — Ginger prevents Th2-mediated immune responses in a mouse model of airway inflammation — Int Immunopharmacol. 2008 Dec 10;8(12):1626-32
- Minghetti P, et al. — Evaluation of the topical anti-inflammatory activity of ginger dry extracts from solutions and plasters — Planta Med. 2007 Dec;73(15):1525-30
- Ozgoli G, et al. — Comparison of effects of ginger, mefenamic acid, and ibuprofen on pain in women with primary dysmenorrhea — J Altern Complement Med. 2009 Feb;15(2):129-32
- Bliddal H, et al. — A randomized, placebo-controlled, cross-over study of ginger extracts and ibuprofen in osteoarthritis — Osteoarthritis Cartilage. 2000 Jan;8(1):9-12
- Borrelli F, et al. — Effectiveness and safety of ginger in the treatment of pregnancy-induced nausea and vomiting — Obstet Gynecol. 2005 Apr;105(4):849-56
- Betz O, et al. — Is ginger a clinically relevant antiemetic? A systematic review of randomized controlled trials [Article in German] — Forsch Komplementarmed Klass Naturheilkd. 2005 Feb;12(1):14-23
- Ensiyeh J, Sakineh MA — Comparing ginger and vitamin B6 for the treatment of nausea and vomiting in pregnancy: a randomised controlled trial — Midwifery. 2009 Dec;25(6):649-53
- Bode A, et al. — Ginger is an effective inhibitor of HCT116 human colorectal carcinoma in vivo — Paper presented at the “Frontiers in Cancer Prevention Research Conference”. Phoenix, AZ, October 26-30, 2003
La storia dei dolci di Natale in Campania

Dolci natalizi campani — Fotografia scattata da Marisa Trevico, Aversa (CE)
Pubblichiamo oggi l’articolo della dottoressa Grazia Rossi, Biologo Nutrizionista, che ci parla dei dolci natalizi campani
Le festività del Santo Natale in Campania sono da secoli celebrate con piatti ricchi a base di pesce fresco e sottosale (baccalà), carni e soprattutto con dolci antichi dal profumo intenso di agrumi locali e di spezie esotiche, di origine non sempre ben nota e immancabili in ogni famiglia.
La preparazione rituale di molti di essi tra cui i roccocò, le sapienze e i susamielli, inizia prima della festa dell’Immacolata in modo da gustarne uno o due, a fine pranzo, in tutto il periodo delle festività a partire da dicembre fino al giorno dell’Epifania.
Biscotti a forma di ciambelle fatti con mandorle, farina, zucchero, canditi e pisto (un mix di cannella, chiodi di garofano, coriandolo, anice stellato e noce moscata che dà loro un profumo esotico e un colore ambrato), i roccocò dal francese rocaille per la forma barocca simile a una conchiglia, concludono il pranzo dell’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione e arricchiscono le tavole campane fino a tutto il mese di gennaio del nuovo anno.
La tradizione dei roccocò si fa risalire al 1320, anno in cui furono preparati per la prima volta dalle monache del Real Convento della Maddalena a Napoli nella prima domenica d’Avvento.
Sono piuttosto duri e per questo motivo si usa intingerli nel vino rosso o in un bicchierino di marsala o di vermouth, oppure in un calice di spumante o anche in uno di bianco secco.
Simili ai roccocò, i susamielli (o sesamielli) sono biscotti un po’ più morbidi a forma di “S”; vengono preparati con farina, noci tritate e miele, aromatizzati con cannella, pepe, noce moscata e ricoperti con semi di sesamo, da cui il nome.
Le sapienze sono una variante di forma ellittica dei susamielli, ricoperte con mandorle intere e preparate dalle Clarisse nel convento di Santa Maria della Sapienza.
Morbidissimi, invece, sono i raffiuoli, con un impasto simile al pan di Spagna e ricoperti da una candida glassa di zucchero che contrasta con il colore dei mostacciuoli, piccoli rombi dal profumo di cannella e ricoperti di cioccolato.
Non si sa molto sull’origine del termine mostacciuoli, probabilmente deriva da alcune antiche preparazioni contadine che utilizzavano il mosto, col quale venivano preparati; mustacea era infatti il loro nome latino. Dalla caratteristica forma romboidale, si preparano in tutta la Campania nel periodo natalizio e possono avere diversa consistenza, a seconda della lavorazione della pasta composta da farina, acqua, vaniglia, cannella e altre spezie in polvere, buccia d’arancia e cacao.
Dopo la lavorazione, la pasta viene lasciata riposare qualche ora, distesa in strisce dello spessore di circa mezzo centimetro, tagliate in tanti rombi all’altezza di 10 cm e poi cotti in forno. Una volta pronti, i mustaccioli vengono ricoperti di glassa di zucchero bianca o nera ottenuta con l’aggiunta, a quella bianca, di cacao amaro in polvere.
Qualche giorno prima della vigilia di Natale, invece, ancora oggi si preparano gli struffoli con la collaborazione attiva e allegra di bambini curiosi, di tutte le donne della famiglia e di qualche uomo dotato di pazienza e di buona volontà. Ciascun membro della famiglia dà il suo contributo alla preparazione di queste deliziose e croccanti palline, simili nell’aspetto ma non nel sapore a piccolissimi bignè.
Per cui, se avete la fortuna di essere ospiti a casa di queste famiglie in questo periodo, non ci si può stupire della quantità di dolci offerti e soprattutto astenersi dall’assaggiare struffoli, roccocò, sapienze, preparati dalle sapienti mani di laboriose madri, di nonne, di zie, fosse anche solo per devozione, a testimonianza del fatto che la maggior parte di essi venivano in origine confezionati nei conventi da abilissime suore.
Molto belle e originali erano le creazioni fatte con gli struffoli a opera delle monache dei Conventi della Croce di Lucca e di quelle di Santa Maria dello Splendore a Napoli.
Alberi di Natale e persino presepi venivano fatti con i deliziosi struffoli, dolci antichissimi immancabili in tutte le case campane, portati a Napoli probabilmente dai Greci al momento della fondazione di Partenope.
L’origine del nome greco, στρόγγυλος, stróngylos (arrotondato), richiama alla loro forma: gli struffoli, infatti, altro non sono che delle “palline” fritte, ottenute da un impasto di uova e farina, tenute insieme dal miele e da una manciata di canditi e di confettini multicolori, i diavolilli.
Secondo la ricetta, tramandata di generazione in generazione (la ricetta qui di seguito riportata, è quella di mia nonna paterna), l’impasto deve essere preparato con farina, uova, burro, limone grattugiato, vaniglia; deve essere lavorato a lungo per poi essere tagliato prima in bastoncini poi in pezzetti piccoli, modellati a forma di palline di circa un centimetro di diametro che vanno fritte velocemente in olio d’oliva e poi miscelate al miele.
Il composto finale va poi plasmato con le mani dando la forma preferita, adagiato su un vassoio e guarnito con pezzetti di frutta, zucca candita e tantissimi confetti colorati.
Nel caso voleste divertirvi a farli, ecco la ricetta.
Struffoli
Ingredienti
- 3 uova intere
- 1 tuorlo
- 350 g di farina 0
- 40 g di zucchero
- 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
- un bicchierino di anice o limoncello
- la buccia grattugiata di 1 limone non trattato
- una punta di cucchiaino di sale fino
- 250 g di miele millefiori
- una punta di cucchiaino di bicarbonato
- 50 g di burro
- 1 bustina di confettini bianchi e argentati
- 100 g di cedro e scorzette d’arancio candite
- 100 g di dadini di zucca candita (cocozzata)
- diavolilli q.b
Preparazione
Formare sul piano di lavoro una fontana con la farina; unire le uova, lo zucchero, il burro, il bicchierino di liquore, la buccia del limone grattugiata, l’olio, il sale, il bicarbonato e impastare.
Lavorare l’impasto fino a quando non si stacca dalle mani, al termine farlo riposare per circa un’ora. Riprendere la pasta e formare dei bastoncini tubolari da tagliare a pezzetti piccoli e da arrotondare.
Friggere le palline in olio bollente, alzarle e metterle in un colapasta con carta assorbente.
Prendere 4 o 5 cucchiai di miele e farli sciogliere dopo l’aggiunta di 2 cucchiai di acqua a fuoco lento in una teglia, aggiungere poi gli struffoli.
Girare bene gli struffoli per qualche minuto, aggiungendo alla fine una buona parte dei confettini, dei diavolilli e la frutta candita.
Disporre poi gli struffoli in un bel piatto decorato, dare la forma preferita e finire di decorarli con i confetti e la frutta candita.
Aspetti nutrizionali
Per quanto riguarda i principali nutrienti e l’energia, 100 g di struffoli contengono:
- Lipidi 11,11 g
- Glucidi 58,2 g
- Protidi 7,21 g
- Calorie 500 Kcal
Non vi resta che gustarne uno o due cucchiai, meglio a colazione nei giorni di festa e accompagnati da una spremuta d’arancia o come spuntino con una tazza di un buon tè verde al gelsomino.
Per approfondimenti:
- R. Rutigliano — La pasticceria napoletana — Edizioni Marotta
- Guide Routard — Napoli e il Sud dell’Italia — Touring Editore, 2003
- Il giornale del cibo — Un carosello di indimenticabili sapori — Martino Ragusa
- Struffoli.it
- Giovani del Sud
- Portanapoli
Post-it — Il Battesimo del Torrone
Il torrone è nato il 25 ottobre 1441 a Cremona in occasione del banchetto di nozze di Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti. Per quanto vi siano testimonianze di dolci simili anche prima di tale data, i Cremonesi ritengono che questo sia il luogo e la data di nascita del dolce che deve il suo nome al Torrazzo, il campanile del duomo di Cremona, all’epoca detto dai locali “Torrione”.
In quel tempo Cremona era un importante centro commerciale, crocevia non solo di traffici mercantili, provenienti dall’Oriente e dal bacino Mediterraneo, ma anche di incontri culturali a livello internazionale.
Quindi non è difficile pensare che il dolce fosse di probabile origine araba. Nei paesi lungo le sponde del Mediterraneo la coltivazione del mandorlo e del nocciolo si perde nella notte dei tempi soprattutto con l’utilizzo di questa frutta secca con miele e bianco d’uovo.
Per approfondimenti:
R. Pellati — La storia di ciò che mangiamo — D. Piazza, 2010