
Illustrazione di Gianluigi Marabotti
«Mangiate cibo i cui ingredienti esistono in natura»
Per approfondimenti:
M. Pollan — Breviario di resistenza alimentare: 64 regole per mangiare bene — Bur, 2010
Illustrazione di Gianluigi Marabotti
«Mangiate cibo i cui ingredienti esistono in natura»
Per approfondimenti:
M. Pollan — Breviario di resistenza alimentare: 64 regole per mangiare bene — Bur, 2010
Come già esposto pochi giorni fa, sempre più studi confermano che l’alimentazione delle donne in gravidanza influenza la salute dei nascituri. In questo caso, però, la notizia è negativa: mentre l’assunzione di ω-3 in gravidanza pare abbia un effetto positivo sulle future allergie del bambino, l’assunzione di yogurt magro sembra avere l’effetto opposto, favorendone lo sviluppo.
La ricerca, non ancora pubblicata, verrà presentata il 25 settembre prossimo al congresso annuale della Società Respiratoria Europea (European Respiratory Society, ERS) e mette in relazione l’assunzione di latte e prodotti caseari con lo sviluppo di allergie (asma e riniti allergiche). I risultati della ricerca suggeriscono che mentre il latte non è associato allo sviluppi di riniti e anzi, addirittura potrebbe proteggere dall’asma, l’assunzione di yogurt magro alla frutta una volta al giorno porta una probabilità di 1,6 volte più alta per il bambino di sviluppare asma a sette anni rispetto ai figli delle donne che non ne assumono, e hanno anche più probabilità di sviluppare riniti allergiche.
È il primo studio che mette in relazione lo yogurt magro con le allergie, ed è evidente in questo caso che la quantità di grassi c’entra poco con lo sviluppo della malattia: le cause ancora non sono note e vanno indagate molto più a fondo di così, ma è già comunque una prima indicazione di condotta alimentare da modificate in caso di gravidanza.
Fonte:
Maslova E, et al. — Low-Fat Yogurt Intake When Pregnant Linked to Increased Risk of Child Asthma and Hay Fever, Study Suggests — ScienceDaily, 18/09/2011
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Quando si parla di disturbi del comportamento alimentare si fa spesso riferimento a un fenomeno di attualità, che colpisce soprattutto adolescenti e giovani donne. L’anoressia e la bulimia sono frequentemente ricondotte a uno strenuo tentativo da parte di coloro che ne soffrono di rincorrere dei modelli estetici di riferimento di esasperata ed eterea magrezza, rischiando la morte per questo e a loro malgrado. Si chiamano in causa i media, ci si scaglia contro gli stilisti e contro la superficialità del consumismo. Seppure in parte vero, i disturbi del comportamento alimentare non sono solo questo.
Tra i pochissimi esempi nella filmografia che hanno affrontato il tema, Ragazze interrotte di James Mangold parla di anoressia con una drammaticità e una delicatezza rare. Il film è libero da luoghi comuni preconfezionati, scevro da formalismi e da parole belle e vuote. Le protagoniste sono loro, le ragazze interrotte, rinchiuse in un ospedale psichiatrico alla fine dei turbolenti anni sessanta.
Susanna è il personaggio principale, una meravigliosa Winona Ryder, affetta da un disturbo di personalità borderline; poi c’è Lisa, una giovane e diafana Angelina Jolie, sociopatica, gelida e carismatica. Daisy è un personaggio minore, certo non per intensità, ed è anoressica, autolesionista, dipendente da lassativi. Pura e ingenua come una bambina, tiene stretto il suo orsacchiotto, mentre allinea uno per uno i pezzetti di pollo che nella giornata mangerà. Il pollo della polleria di suo padre, l’unico alimento che va giù, che entra dentro come lei stessa dice, mentre tutto il resto lo vomita. Mangia sola, con gli altri si sente violata. Manda giù i suoi pezzettini di pollo e ne conserva le carcasse sotto il letto, fino a cinque, quando poi Valery, l’infermiera, glieli fa buttare.
Quando giunse la notizia che il padre di Daisy comprò un appartamento, perché lei potesse curarsi e lasciare la clinica psichiatrica, la cosa passò inosservata.
I polli del padre, la casa piena di orsacchiotti, la cucina pollo come lei stessa la chiamava, sarebbero stati da ora in poi per Daisy la sua vita, e suo padre avrebbe potuto così visitarla, da solo, ogni notte, senza destare alcun sospetto.
Il finale toglie il fiato e ci lascia Daisy e la sua storia nel cuore.
La superficialità di giudizio è il primo danno che si procura a chi soffre di disturbi alimentari. Daisy è l’esempio di come dietro l’anoressia si celi a volte un dramma più forte del desiderio di entrare in una taglia di pantalone più piccola.
La Venere di Willendorf — Fotografia scattata da Plp al Naturhistorisches Museum di Vienna per Wikimedia Commons
Nella storia della medicina non mancano osservazioni sull’eccesso di peso, sebbene il drammatico e repentino fenomeno dell’obesità sia esploso di recente per il mutamento dello stile di vita, generato dal benessere della società moderna.
L’esistenza dell’obesità era già nota nel paleolitico, dove compaiono le cosiddette Veneri preistoriche, manufatti in pietra con evidente accentuazione di alcuni attributi femminili che oltre a simboleggiare un ideale estetico dell’epoca, sembrano indicare lo stretto legame tra stato nutrizionale e fertilità. La più famosa è la Venere di Willendorf, piccola statuetta di undici centimetri di altezza, con evidente obesità ginoide e seno pendulo.
L’obesità era nota agli antichi Egizi dove mummie di ambo i sessi mostrano una corporatura robusta.
Negli scritti medici sia cinesi sia tibetani l’obesità veniva già considerata una condizione patologica, causa di malattie e di riduzione dell’aspettativa di vita.
Nel periodo greco-romano, nei testi di Ippocrate si legge: «la morte improvvisa sia di gran lunga più comune nei soggetti naturalmente più pingui di quanto non accada nei soggetti magri».
Galeno definì due tipi di obesità: una moderata vista come fisiologica, l’altra smodata vista come uno stato di disobbedienza alle leggi della natura e quindi come malattia.
Nei secoli successivi emergono numerose osservazioni di come questo fenomeno era ristretto alle classi abbienti e nel 1700 veniva intuita, in base all’osservazione, l’importanza della predisposizione genetica e che quindi l’obesità ricorreva frequentemente in determinate famiglie.
Solo nel XX secolo l’obesità viene identificata come una condizione morbosa con molteplici cause e specifiche complicanze.
Oggi l’obesità attrae l’attenzione del mondo scientifico e dei mezzi di informazione in quanto è considerata una pandemia che dai paesi industrializzati si è diffusa nei paesi in via di sviluppo; inoltre, rappresenta un esempio di difficoltà che l’organismo umano incontra nell’adattarsi a trasformazioni ambientali, sociali, culturali ed economiche troppo rapide per consentire un’adeguata risposta evolutiva.
Per approfondimenti:
Fierabracci, Pucci, Pinchera — Argomenti in tema di sovrappeso e obesità. Obesità: i molteplici aspetti di un’epidemia — Mediserve, 2008
L’American Academy of Pediatrics da tempo raccomanda ai genitori di evitare di mettere i loro figli a letto con un biberon contenente bevande diverse dall’acqua quale strategia per prevenire la carie della prima infanzia.
Intanto da tempo patatine fritte, cibi grassi o precotti, salse, bevande zuccherate, insaccati sono sotto accusa perché elencati tra le cause della crescente obesità.
Nessuno mai avrebbe sospettato del tanto amato biberon.
Ci hanno pensato la dottoressa Rachel A. Gooze e il dottor Robert C. Whitaker del Department of Public Health, Center for Obesity Research and Education alla Temple University di Philadelphia, e la dottoressa Sarah E. Anderson della Division of Epidemiology della Ohio State University College of Public Health di Columbus.
Il loro studio, pubblicato su «The Journal of Pediatrics», è stato condotto per osservare il legame tra l’uso prolungato oltre i ventiquattro mesi di età del biberon e il rischio di obesità infantile.
All’esame quasi settemila bambini statunitensi nati nel 2001.
La prevalenza di obesità sale del 5% per quei bambini che fino a ventiquattro mesi hanno utilizzato il biberon per l’assunzione di bevande o di latte rispetto a quelli che ne avevano sospeso l’utilizzo.
Correggere entro l’anno di età questo comportamento che incoraggia il bambino ad assumere calorie in eccesso può aiutare a ridurre il rischio obesità e conferma l’ipotesi che la prevenzione deve iniziare in età prescolare o addirittura nei primi anni di vita.
Fonte:
Gooze RA, et al. — Prolonged bottle use and obesity at 5.5 years of age in US children — J Pediatr. 2011 Sep;159(3):431-6
La Scuola di Ancel
Nutrizione Informazione Prevenzione
Quotidiano online a carattere scientifico
Autorizzazione del tribunale di Roma n. 290/2013 del 12 dicembre 2013
by Luca Belli, Francesco Bonucci, Roberto Casaccia, Mariarosa Di Lella, Elisabetta Iafrate, Laura Imperadori, Rosa Lenoci, Eliana Marchese, Dario Padovan, Giuliano Parpaglioni, Tiziana Stallone (authors), Gianluigi Marabotti (designer)
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