Per centinaia d’anni, la società non aveva considerato l’alcolismo una malattia. Quelli che bevevano troppo erano gli ubriaconi, i perdigiorno, gli idioti del paese… Se cerco alcolismo nel mio dizionario online trovo: alcolismo, dipendenza dal consumo di alcolici oppure la malattia mentale e il comportamento che ne derivano.
La società considera la persona grassa con un misto di compassione e disgusto. Un mangiatore compulsivo grave diventa il fulcro di attenzione indesiderata, di occhiatacce oblique, di consigli distribuiti a man bassa da estranei. Provo a cercare l’espressione overeater, mangiatore compulsivo, sullo stesso dizionario online, ma non esiste. Cerco dipendenza da cibo. Niente. Lancio una ricerca su google e trovo un accenno: overeat, eccedere nel mangiare, soprattutto abitualmente.
Si tratta di questo? Un individuo che mangia compulsivamente è semplicemente qualcuno che mangia troppo?
La citazione è tratta da uno dei libri più belli che abbia letto negli ultimi anni: Fame di Allen Zadoff, l’autobiografia di un ex obeso, di un mangiatore compulsivo che si apre e si confida, raccontando meglio di come farebbe un testo di psichiatria e di come un manuale di nutrizione non ha mai fatto, la dipendenza da cibo.
Come altre volte mi è accaduto, le persone, meglio dei cattedratici, spiegano l’essenza del loro modo di magiare: edonistico, superficiale, distratto, annoiato, malinconico, irresponsabile o, infine, compulsivo. In quest’ultimo caso, il cibo non viene assaporato, ma ingurgitato con smania, ansia, orgasmica ossessione, ma anche con profonda vergogna, similmente a un rapporto d’amore insano e clandestino, che dà risposte cerebrali di sottomissione.
Zadoff è un mangiatore compulsivo, un bulimico, che riconosce e confessa la sua dipendenza da cibo nel 2007, anno di pubblicazione del suo libro negli Stati Uniti, in tempi in cui la letteratura scientifica internazionale era fortemente carente di dati sperimentali sull’argomento. Quasi con profetica anticipazione, di lì a poco, questi studi si sarebbero decuplicati, aggiungerei per fortuna e sollievo di chi soffre di questo doloroso disturbo del comportamento alimentare.
È di recente pubblicazione, ad esempio, un articolo sulla rivista «Molecular Neurobiology» che ha analizzato la correlazione tra obesità, dipendenza da cibo, genetica e infiammazione.
Gli autori riassumono molte evidenze sperimentali che dimostrano come droghe e cibo, attivino gli stessi circuiti cerebrali del piacere e della ricompensa, scatenando risposte sovrapponibili. La dipendenza da cibo, al pari di quella da droghe, sarebbe legata al circuito del neurotrasmettitore del benessere dopamina e a una minore sensibilità del suo recettore D2. Chi soffre di alimentazione compulsiva, quindi, è come se fosse “sordo” verso gli stimoli fisiologici del piacere, l’abuso di cibo compenserebbe tale mancanza agendo come un antidepressivo e innalzando il tono dell’umore [NdA].
È ben noto, inoltre, come nelle persone obese ci sia un aumentato stato infiammatorio dell’organismo, per l’accresciuta produzione di leptina o di citochine, entrambe a effetto pro-infiammatorio. Queste sostanze sarebbero in grado di danneggiare progressivamente e irreversibilmente il sistema nervoso, favorendo con un colpo di coda e un meccanismo ciclico auto-perpetuante, la depressione e l’ulteriore ricerca di cibo.
Non che la comprensione dei meccanismi della dipendenza da cibo sia in grado di alleviare il dolore, la vergogna o il senso di frustrazione di chi ne soffre. La spiegazione di questo fenomeno, tuttavia, restituisce la dignità a tutti coloro che sono stati accusati da sempre di ingrassare solo per colpa.
Per chi legge e si riconosce mangiatore compulsivo, vorrei concludere con le ultime parole del libro di Zadoff.
«Buona fortuna e, ricordate, non siete soli».
Per approfondimenti:
- A. Zadoff — Fame. Cose che ho imparato nel mio viaggio da grasso a magro — Corbaccio, 2009
- Heber D, Carpenter CL — Addictive genes and the relationship to obesity and inflammation — Mol Neurobiol. 2011 Oct;44(2):160-5