Qualcuno si ricorda, pochi mesi fa, i Tg che ci hanno terrorizzato con i cetrioli killer? Poi si è scoperto che la colpa era dei germogli di soia e forse neanche di questi. Tutto quello che avevano in comune questi vegetali era di trasportare un batterio, chiamato E. coli, che poteva produrre una tossina letale. Le analisi hanno messo in luce che, nonostante la presenza del batterio, alcuni di questi alimenti non avevano procurato nessun danno.
La realtà è, anche questa volta, molto più affascinante della fantasia e la storia dell’E. coli molto più lunga. Per raccontarla, inizierei dalle fine: come fanno questi batteri ad arrivare nei nostri piatti. Nella prossima puntata vi racconterò chi è, in realtà, questo ospite abituale del nostro intestino e il cui nome intero è Escherichia coli.
Il nome “coli” ci dice che questi microrganismi vengono dal colon, tramite le feci umane o animali, e possono trasferirsi sugli alimenti tramite acqua sporca, escrementi, concimi “naturali”, ma anche persone che non rispettano le norme di igiene più elementari, come lavarsi le mani correttamente. Qualsiasi passaggio del cibo, dal campo alla tavola, può essere a rischio: ci sono regole che tutti dovremmo ricordarci più spesso, come indossare i guanti prima di toccare la frutta al supermercato e lavarsi le mani prima di toccare il cibo.
Tutti gli alimenti che vengono consumati crudi possono trasmettere l’infezione: solo la pastorizzazione, cioè l’uccisione dei batteri con il calore, spesso tanto vituperata e accusata di alterare le proprietà nutrizionali, e la cottura diminuiscono il rischio che, in un ambiente ricco di nutrienti, a temperatura ideale, i batteri possano riprodursi e diventare pericolosi.
Gli attuali metodi di produzione, che prevedono un controllo accurato delle lavorazioni e dei comportamenti che potrebbero favorire l’infezione e la proliferazione batterica, sembravano averci messo in salvo dai rischi, perciò abbiamo reintrodotto nella nostra dieta prodotti come il latte crudo, il carpaccio di carne o il sushi di pesce, verdure prelavate e succhi di frutta senza conservanti, germogli di soia che vengono commercializzati senza aver subito trattamenti.
Negli Stati Uniti d’America, in cui il sistema della produzione degli alimenti è molto più centralizzato del nostro, è più facile che un alimento contaminato sia distribuito in vaste aree, perciò gli allarmi E. coli si sono ripetuti negli anni: in questo caso i “trasportatori” erano hamburger e spinaci e hanno procurato molti più danni. Per fortuna, invece, il consumo di germogli non è frequente e chi li apprezza, in genere, preferisce comprare i semi e farli germogliare in casa.
In realtà, nella grande maggioranza dei casi l’ingestione di E. coli non procura grandi danni e il nostro organismo è in condizione di difendersi da solo, ma è sempre meglio non sottovalutare il rischio; inoltre ci sono occasioni in cui i batteri sono più aggressivi, soprattutto per le fasce deboli, come bambini, donne in gravidanza, anziani e persone già indebolite. La pulizia accurata di tutto quello che entra a contatto con i cibi, la separazione rigorosa tra alimenti di origine diversa e la cottura rimangono precauzioni base per proteggerli e, quindi, anche la scelta di alimenti che possono essere garantiti da questo punto di vista.
Fonti:
- European Food Safety Authority — L’EFSA valuta i rischi per la salute pubblica derivanti dai semi e dai semi germogliati
- American Academy of Microbiology — FAQ: E. coli: good, bad, & deadly
- European Food Information Council — La sicurezza alimentare