
Cellule di Escherichia coli, fotografate al SEM — Fotografia scattata al Rocky Mountain Laboratories, NIAID, NIH e tratta da Wikimedia Commons
Quando, qualche mese fa, in Europa, è iniziata questa epidemia e si è scoperto che dipendeva dall’Escherichia coli, in molti si sono fatti spaventare solo dal nome. Quando si è capito di cosa si trattava, molte persone non riuscivano a credere che un batterio così comune potesse diventare mortale e hanno cominciato a correre notizie di guerra batteriologica, esperimenti di laboratorio fuori controllo e addirittura attacchi da parte di scienziati.
In realtà, come tutte le specie animali, anche i batteri hanno razze o “ceppi” più aggressivi e individui con caratteristiche particolari.
Con alcuni ceppi abbiamo imparato a convivere da millenni. L’Escherichia coli è infatti un ospite abituale del nostro intestino: la sua presenza è indispensabile per il controllo della crescita di tutti gli altri batteri che altrimenti potrebbero proliferare esageratamente, danneggiando il colon. A sua volta la sua crescita è limitata da questi altri ospiti del nostro corpo, in un equilibrio dinamico che ognuno di noi si porta dalla nascita. Per questo non è mai stato considerato un nemico.
Se però questo equilibrio si guasta, il nostro batterio può crescere in maniera esagerata e trasferirsi in altri organi, come nell’apparato urinario, dove provoca fastidiose cistiti e, nei casi più gravi, arriva a danneggiare i reni.
In natura troviamo però ceppi molto più aggressivi, in cui alcune mutazioni spontanee del DNA sono state selezionate in un ambiente particolare, oppure che hanno incorporato geni provenienti da altri microrganismi o perso geni che li indebolivano. Questi meccanismi permettono ai batteri di sopravvivere in ambiente ostile come, per esempio, ai trattamenti con gli antibiotici. In caso contrario, verrebbero uccisi insieme ai batteri che ci portano malattie e il nostro organismo uscirebbe molto più debilitato da questo tipo di terapia.
Infine un ceppo di E. coli può guadagnare la capacità di produrre tossine, cioè dei veleni biologici, “rubando” un gene ad altri microrganismi, come è successo nella primavera scorsa: queste sostanze agiscono direttamente nell’intestino o possono entrare in circolo e danneggiare altri organi. Oppure può acquisire la capacità di attaccare le cellule dell’intestino stesso e distruggerle. Ma come per tutti i veleni, a dosi molto basse, non è pericoloso, soprattutto sugli individui sani.
Queste trasformazioni non sono immediate, richiedono vari passaggi e, talvolta, modifiche di tipo diverso. Per questo, batteri come l’E. coli sono diventati un soggetto di studio per i genetisti e ci hanno insegnato tante cose sul funzionamento del DNA.
Possiamo quindi essere sicuri che dietro questi episodi non ci sia nessuna volontà di fare del male, ma semplicemente una serie di sfortunate coincidenze. Per scarso controllo della materia prima, sottovalutazione del rischio, un ceppo batterico che ha acquisito la capacità di produrre una tossina, è stato messo nelle condizioni di moltiplicarsi e di diventare letale.
Non illudiamoci, succederà ancora: nella maggior parte dei casi ci domanderemo che cosa abbia disturbato il nostro intestino, ma per proteggerci da conseguenze più gravi, basta fare attenzione a quello che mangiamo e, soprattutto, a come lo trattiamo e lo conserviamo.
Fonti:
- European Food Safety Authority — Focolaio/focolai infettivi di E. coli produttore della tossina Shiga
- American Academy of Microbiology — FAQ: E. coli: good, bad, & deadly