Quando ci veniva offerta una fetta di crostata o di pandispagna, o qualche dolce rimasto, facevamo merenda in casa; altrimenti ce la portavamo nel cestino, per mangiarla seduti su un muretto o sotto un albero. Pasto leggero ma importante, l’unico in cui avessimo diritto di scelta, la nostra merenda era semplice e consisteva di pane con due diversi tipi di companatico: quello di casa e quello dell’orto. Se non volevamo i tradizionali pane e olio, pane e zucchero, pane e burro, pane burro e sale, pane bagnato e imbevuto di limone, pane burro e zucchero, pane burro e miele, pane e acciuga, pane e cotognata, il pane della merenda potevamo infatti contarcelo nell’orto: ciascuno di noi si portava un coppitello di sale preparato da Caterina in cui intingere la punta di un cetriolo, un pomodoro o un peperone raccolto direttamente dalla pianta e poi lo mordicchiava accompagnato dal pane.
Da questo racconto, in cui i ricordi hanno il sapore della cucina di famiglia, ho estrapolato la descrizione della merenda dei ragazzi. Non so se i pediatri sarebbero d’accordo su tutte quelle descritte, ma non dobbiamo dimenticare che erano ragazzi che passavano le giornate a giocare in campagna, non seduti davanti alla televisione o al PC, come spesso succede ai nostri.
Al racconto sono allegate tante ricette di famiglia raccolte e riscritte dalla sorella dell’autrice.
Per chi è incuriosito:
S.A. Hornby — Un filo d’olio — Sellerio, 2011