Li hai visti i loro banchetti? Non li metterei certo tra le ore di svago, osservando la premura con cui dispongono l’argenteria e stringono le tuniche ai fianchi dei giovani schiavi; c’è poi l’attesa trepidante per vedere come il cuoco ha allestito il cinghiale, e l’accorrere pronto dei valletti al segnale; la laboriosa cerimonia del taglio, a pezzettini, dei volatili; ai garzoni più sfortunati tocca poi di ripulire con cura gli sputi dei conviviali ubriachi. Così si procurano fama di raffinatezza e di splendore, e i loro mali li inseguono a tal punto in ogni angolo della vita, che non sono più capaci di mangiare e bere senza ostentazione.
Con queste parole crude e ferme si esprime Seneca, filosofo stoico della Roma imperiale, ne La brevità della vita sullo sprecare il tempo in futili particolari e in penose ostentazioni della ricchezza. Il cibo, dunque, si conferma essere anche lo specchio della realtà e, in questo caso, della decadenza dei tempi. Osservando il modo in cui l’uomo si rapporta al pasto, infatti, si raccolgono utili informazioni sugli umani valori. Consigliamo questa lettura per nutrire non il corpo, come siamo soliti fare, ma l’individuale sensibilità a non sprecare il tempo.
Ma colui che mette a profitto ogni istante del suo tempo, che dispone di ogni giorno come della vita intera, non desidera, né teme il domani. Quale nuovo piacere potrebbe infatti portargli un’ora in più? Tutto gli è noto, tutto ha gustato a sazietà.
Per approfondimenti:
Lucio Anneo Seneca — La brevità della vita — traduzione di Gavino Manca, Vanni Scheiwiller, 1992