Pubblichiamo oggi il contributo del dottor Roberto Casaccia, Biologo Nutrizionista e Specialista in Scienza dell’Alimentazione, che ci presenta un’opera di John Dickie: Con gusto. Storia degli italiani a tavola
Il Mulino Bianco è un simbolo poco noto al di fuori dell’Italia, ma fa parte di quella famiglia di immagini immediatamente riconoscibili in gran parte del mondo occidentale: la trattoria in mezzo agli ulivi, i prosciutti appesi alle travi del soffitto nella cucina di una casa di campagna, il vecchio contadino con la pelle bruciata dal sole che vi strizza l’occhio, la famiglia vociante riunita sotto il pergolato mentre la mamma serve la pasta. Questi stessi cliché ricorrono in un numero infinito di ricettari, di spot di oli d’oliva o di quei barattoli di abominevoli salse per la pasta. Tutti insieme, vanno a formare quel potentissimo mito rurale che trova la sua ambientazione preferita nella campagna toscana. È un mito che evoca una cucina fatta di mille antiche tradizioni rurali, la cucina italiana come cucina “contadina”. Questo immaginario è uno dei fattori che hanno contribuito a dare all’Italia una posizione di preminenza nello scenario gastronomico mondiale, ma al tempo stesso è uno dei fattori che hanno contribuito a creare quella percezione errata che si accompagna a questa popolarità. La cucina italiana che il mondo tanto ammira, sorprendentemente, non è tanto contadina quanto ci si potrebbe aspettare.
Uno sguardo particolare sulla storia della cucina italiana, per sostenere le tesi che essa sia stata, e sia, primariamente una cucina “cittadina”, che la tipicità dei prodotti nasca dall’orgoglio di “campanile” piuttosto che da fattori agro-climatico-geografici, e che la cucina regionale tragga le sue origini dalla secolare divisione della Penisola in staterelli. È ciò che fa John Dickie, storico e giornalista nonché docente di Cultura italiana all’University College di Londra, nel libro Con gusto. Storia degli italiani a tavola. L’autore del best seller Cosa nostra, storia della mafia siciliana si cimenta, questa volta, su una voce decisamente più edificante del made in Italy.
Nel testo, ricco di riferimenti storici ma egualmente di piacevole e facile lettura, la civiltà italiana della tavola viene vissuta attraverso dieci città e nove secoli di storia, dal 1154, quando il geografo arabo Al-Idrisi descrive la Sicilia e i suoi cibi, al 2006, anno in cui Slow Food celebra a Torino il suo ventennale con la conferenza “Terra Madre”.
Si passa dalle tavole medievali di Milano e Venezia, alla cucina rinascimentale dei Principi e dei Papi, al cibo “da strada” e ai maccheroni del tardo Settecento; l’Unità d’Italia viene vissuta attraverso l’opera dell’Artusi e il fascismo ricordando le pietanze futuriste proposte dalla Taverna del Santopalato di Torino.
Ritroviamo nella lettura la fame del dopoguerra, il miracolo gastronomico degli anni cinquanta e, infine, la storia dei tortellini (e della definitiva perdita dell’innocenza degli ultimi decenni) allorché essi, da piatto tradizionale, diventano ghiotta occasione di business. Siamo nel 1961 quando il figlio di un fornaio, tale Giovanni Rana, comincia a fabbricare pasta fresca in un laboratorio di trenta metri quadri datogli in prestito dal suocero.
Un’Italia tutta da scoprire quella di John Dickie, fatta di italiani a tavola, con gusto.
Per approfondimenti:
J. Dickie — Con gusto — Laterza, 2009