Ecco la prima parte dell’intervista a Stefano Miglietti, sportivo bresciano che ha recentemente attraversato la depressione del Qattara in Egitto senza mangiare né bere.
Clorofilla: La prima domanda, che immagino tutti ti faranno, è: perché?
Stefano: Le risposte sono tante. Diciamo che ho voluto mettermi alla prova ulteriormente, ho voluto alzare l’asticella della difficoltà per vedere dove potevo arrivare a livello fisico e mentale. Ho voluto fare qualcosa che nessuno aveva mai osato fare prima anche perché ritenuto impossibile dal punto di vista medico. E poi, quando arrivi a certi livelli di sfinimento, c’è una introspezione del tutto particolare, riesci a ricavare energie dentro di te che non immagini nemmeno di possedere. Arrivi a conoscerti davvero in profondità e a scoprire delle cose di te che non penseresti neanche di avere. Ogni volta che torno da un’esperienza, torno arricchito.
C: Come sportivo, come ti definiresti?
S: Tutti dicono runner, ma in realtà io mi allenano correndo. Poi durante queste sfide quello che faccio è camminare velocemente, a circa 6,5 km/h. In quest’ultima esperienza ho corso per la prima metà, in modo da metterci il meno tempo possibile perché sapevo di non poter stare senza acqua troppo a lungo. Facevo tratti a 9-10 km/h per poi recuperare un po’. Nell’ultima parte ho camminato e la media è stata di circa 5 km/h.
C: Immagino sarai attentamente monitorato dal punto di vista medico.
S: Neanche più di tanto. Magari all’inizio, ma adesso mi conosco molto a fondo e faccio da solo; tendo a non ascoltare i consigli degli altri. Certo c’è un’usura del fisico molto importante, soprattutto a livello articolare; in dieci anni ho fatto circa 60.000 km. Non ho più l’elasticità di una volta, sono più rigido e corro meno veloce rispetto a qualche anno fa. Poi non sono uno che fa tanto stretching, non mi faccio mai massaggiare, anche se so che sarebbe molto importante.
C: La domanda più ovvia è: ma come è possibile camminare per 250 km in 38 ore nel deserto, senza mangiare, ma soprattutto senza bere?
S: In effetti mi hanno dato tutti del matto. Non ho voluto pubblicizzare tanto l’impresa perché non è un bel messaggio da lanciare, bisogna fare molta attenzione. Io mi sono preparato tantissimo facendo allenamenti molto lunghi senza mangiare né bere, anche se ovviamente nel deserto a quasi 40°C e con sulle spalle centinaia di chilometri, è un’altra cosa. Ho sofferto la sete in modo pazzesco.
C: Fisiologicamente come credi sia possibile?
S: Non lo so. Ma la sofferenza è stata tanta, non riuscivo a deglutire, ho avuto dolori, crampi e visioni. Ad esempio le piaghe ai piedi, che di solito mi vengono dopo circa 250 km, in questo caso sono arrivate molto prima, forse per la disidratazione. Ma quelle non le ho ascoltate, non mi sono nemmeno mai tolto le scarpe, mentre di solito cerco di medicare le piaghe in qualche modo. Avrei davvero potuto cedere da un momento all’altro. I problemi sono iniziati dopo i primi 140 km, quando ormai si era fatto di nuovo giorno. Mi sono ripreso un po’ quando è tornato il fresco della sera, aiutandomi con un po’ di stretching. Sono proprio arrivato all’estremo, completamente svuotato, se avessi dovuto fare altre cinque ore penso che senza acqua non avrei resistito. Sarà un’impresa che, comunque, non ripeterò più. È senz’altro la prova più dura che ho fatto e il fisico si logora troppo con questi estremi. Nelle prossime mangerò e berrò, e anche molto.
C: In cosa consistevano le visioni?
S: Vedevo dei pellerossa che mi accompagnavano, erano straordinariamente reali. Ho dovuto fare uno sforzo incredibile per restare lucido e fare in modo che non diventassero allucinazioni. Se solitamente dico che il 50% di queste prove le fai con la testa, in questo caso azzardo un 70% di componente mentale.
Domani il seguito dell’intervista.
Per approfondimenti:
Avventurando – Associazione sportiva dilettantistica
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