Il ricordo più forte è il profumo d’erba che si sentiva all’aperto, e quello di canfora che mi investiva dentro gli spogliatoi dove papà si preparava per giocare coi suoi compagni giganti. Sembravano così, con gambe e muscoli da far paura come gli eroi dei fumetti, col potere di apparirti davanti in tutta la loro immensità e dissolversi in un attimo. In mezzo a quei colossi mi sentivo protetto, la stessa sensazione che lui ha saputo darmi per tutta la vita, ogni volta che ce n’è stato bisogno: voleva esserci, anche solo nei piccoli gesti. Non c’era sera che non passasse a baciare i suoi bambini prima di coricarsi, anche quando rincasava tardissimo: io aspettavo quel momento fingendo di dormire, era fondamentale per me quanto per lui…
Con il fiore del suo nome all’occhiello, Giacinto Facchetti si è distinto in campo, per il suo stile pulito e fiero, ma soprattutto fuori. Un uomo bellissimo e un vero signore d’altri tempi; un gigante buono cresciuto a pane e miseria, tirando i primi calci a un pallone di stracci. La sua storia, di sportivo e di uomo raccontata dall’amore del figlio Gianfelice, mi ha commosso. Da leggere.
Per approfondimenti:
Gianfelice Facchetti — Se no che gente saremmo — Longanesi, 2011