L’esperienza dell’anoressia raccontata da chi l’ha combattuta sulla propria persona e aiutando gli altri a combatterla.
Si vive per mangiare, per non mangiare, per pesare e misurare un corpo trascinato come una zavorra ingombrante, un corpo da mortificare, mortificato e flagellato, come fosse il luogo nel quale consumare la colpa di vivere. Il rigore, la severità, la privazione, il trovare forza nel rifiuto, sono le uniche possibilità che ci si riesce a concedere.
Uscire dai rituali ossessivi legati a questo comportamento significa perdere qualunque contatto con se stessi. Accedere al desiderio di amare ed essere amati sembra una caduta mortale, una rinuncia totale alla percezione di se stessi. Provare dolore, invece, è potersi sentire. Cercare di portare a termine questi rituali senza testimoni rafforza la magia, rende reale l’illusione che sia il cibo, e solo il cibo il luogo del conflitto, il terreno di lotta, il cardine del proprio disagio. Giocare con la vita, sfidare ogni legge di sopravvivenza è una prova insostituibile della propria esistenza, del fatto di non essere invisibili, di poter esercitare sull’altro quella presa che non si è mai pensato di avere. Per essere viste a ogni costo, si rischia la vita. Si è vive, perché si potrebbe morire. L’avidità dell’altro appare come una minaccia che spesso non è altro che il riflesso della propria voracità. Si insegue per anni la gallina che si potrà avere domani, mettendosi al riparo dalla paura di appropriarsi dell’uovo di oggi.
La persona anoressica è incessantemente tesa a escludere il rischio che l’altro accampi diritti sulla propria persona. Perfeziona strategie per evitare ogni contatto, come se si trattasse di proteggere una specie a rischio di estinzione, la propria.
Per saperne di più sul libro e sull’autore:
F. De Clercq — Donne Invisibili — Bompiani 2004