Alcune persone, quando sentono che faccio jogging ogni giorno, trovano la cosa meritoria. «Certo che ha una bella forza di volontà, lei!» mi dicono a volte. Gli elogi mi fanno piacere, è ovvio. Sono infinitamente più apprezzabili degli insulti. Tuttavia non penso che una forte volontà basti a ottenere ciò che si vuole. Le cose non sono così semplici, a questo mondo. Cioè, a essere sinceri, ho l’impressione che tra il correre ogni giorno e il fatto di avere una forte volontà non ci sia un rapporto evidente. Se io corro ormai da più di vent’anni, in realtà è perché è un’azione consona alla mia natura. O per lo meno perché «non è una fatica tremenda». Gli esseri umani trovano naturale perseverare nelle cose che amano, e in quelle che non amano no, sono fatti così. In questo la volontà avrà certo un suo ruolo, ma nessuno può continuare per molto tempo a fare qualcosa per cui non è portato, nemmeno se possiede una volontà di ferro, nemmeno se per carattere non tollera sconfitte. E anche ammettendo che ci riesca, non ne trarrà alcun beneficio.
Ognuno di noi ha cose per cui è portato e altre per cui non lo è. Tuttavia, attraverso l’esercizio ostinato e ripetitivo, possiamo trasformare noi stessi. I muscoli sono onesti e hanno buona memoria. E si abituano docilmente a carichi di lavoro crescente. Ciò è vero, non solo per la corsa, ma anche per l’arte di scrivere: con l’allenamento si possono acquisire e coltivare la capacità di concentrazione e la perseveranza, due qualità che possono compensare un talento carente. La corsa è dunque una metafora della vita, è quella fatica che sta tra il dire e il fare.
Per approfondimenti:
H. Murakami — L’arte di correre — Giulio Einaudi Editore, 2012