La compagnia è allegra, si fanno brindisi, qualcuno improvvisa dei versi in onore dei novelli sposi. Nel bel mezzo della festa si sente battere la porta. Un servitore apre, compaiono due uomini. «Fermi tutti!» gridano, fra lo stupore generale. «Ci è stato riferito che in questa casa si infrangono le leggi della Serenissima. Siamo qui per una visita di controllo. Tu, Alvise, va in cucina, mentre io ispeziono le tavole». Pochi minuti, e arriva la conferma: «Come sospettavamo. Selvaggina in tavola. Lische di pesce avanzate in cucina. Fanno almeno due infrazioni. Non sapete che nei pranzi di nozze è proibita la cacciagione e la mescolanza di carne e pesce?»
Correva l’anno 1562 e a Venezia veniva proclamato un bando che riprende disposizioni in materia di «li pasti così di nozze, come di compagnie pubbliche o private». Carne e pesce insieme sono vietati. Per i pasti di carne sono consentite solo due portate, una di arrosto e l’altra di lesso. Per un pranzo di pesce le portate possono essere tre, ma trote, storioni e pesci di lago sono vietati. Mentre le ostriche sono consentite solamente se gli invitati «sono da venti persone in giù». Questo disciplinare dei consumi, sottolinea l’autore di questo piacevolissimo testo storico, era un modo per garantire ai tempi della Serenissima la stabilità sociale, le gerarchie e i poteri acquisiti. “Pesce e carne assieme? Vietato” è solamente uno dei tanti racconti del libro che ripercorrono i banchetti dai tempi di Carlo Magno, fino a Cristina di Svezia.
Per approfondimenti:
M. Montanari — I racconti della tavola — Laterza, 2014