Sono Nives, ho 17 anni e vivo in un piccolo paesino di una valle bergamasca.
All’età di 13 anni mi è stata diagnosticata l’anoressia.
Da quel momento in poi la mia vita è cambiata e ho passato infinite giornate tra ospedali, cliniche e visite. Ma fino a marzo di quest’anno non volevo proprio saperne di uscire da questa condizione per paura, timore.
Ho lavorato molto su me stessa, sulle mie emozioni, sulle mie sensazioni, ma non so esattamente cosa è scattato nella mia testa sei mesi fa.
Tutto è avvenuto in modo lento, non ho mai fatto nulla forzatamente; molte volte anzi mi sono opposta, ma grazie all’aiuto costante della psicologa e della nutrizionista, che mi hanno seguito fin dal principio di questo nuovo percorso, ho trovato giorno dopo giorno la forza di andare avanti, di combattere.
Man mano che il peso dolcemente saliva, i pensieri cambiavano in positivo. Credevo, all’inizio del percorso, che nessuno capisse davvero la situazione e cosa realmente provavo: un continuo disgusto verso me stessa e un’incessante apatia verso il mondo esterno. Tutto sembra procedere, ma in quel momento non si vive, si muore piano piano.
Ora posso dire che voglio guarire. Non per gli altri, per me stessa e basta.
All’apparenza l’anoressia dà protezione, ti senti come in una gabbia d’oro, ma dopo un po’ questa gabbia inizia a starti stretta, ed è proprio in quel momento che devi trovare la forza di provare a sbirciare fuori, vedere la luce, vedere quanto è bella la vita senza pensieri ossessivi. Dopo un po’, magari, rientrare e poi uscire fuori di nuovo, fin quando la gabbia non ti piacerà più così tanto, ma deciderai che è meglio vivere che morire giorno dopo giorno.
Mi ricordo bene il giorno in cui ho mangiato, per la prima volta dopo anni, una brioche. Appena l’ho vista davanti a me un brivido di odio ha percorso il mio corpo, ma dovevo e volevo mangiarla, niente più ostacoli, niente più scuse. Mi son ripetuta di mangiarla meccanicamente, che quella non era altro che una brioche, energia utile per il mio corpo. Volevo urlare, piangere, divorata dai sensi di colpa che aumentavano morso dopo morso, odiavo quel sapore, troppo dolce, troppo tutto. Ma quanto era buona, la cosa più buona che avessi mai provato dopo tanti anni. Quando l’ho finita ho provato un senso di vittoria enorme, ero contenta di me, la gioia ripagava tutto il dolore patito.
Ho fatto molti passi per arrivare fin qui… non sono guarita del tutto, ma ci sto provando e ogni giorno è una lotta continua contro il mostro che è ancora dentro di me, ma sono convinta di potercela fare, perché io voglio e posso.
Non solo voglio farlo per me stessa, ma anche per mia mamma che, nonostante mille motivi per non sopportarmi più, mi è sempre stata accanto, mi ha dato la forza di andare avanti e ha sempre creduto in me.
L’ho fatto anche per i figli che un giorno avrò, perché dovrò essere in grado di abbracciarli, sostenerli in ogni decisione, dovrò avere la forza di prenderli in braccio e ridere con loro e per loro.
Non sono quei chili che fanno di noi una brutta persona. Nessuno ha dell’astio verso di noi, se non noi stesse. Ma perché? Non abbiamo fatto nulla di errato, nessuno è perfetto e il mondo è bello proprio per questo.
Dobbiamo imparare ad accettarci per quelle che siamo, con i nostri limiti e i nostri difetti; perché i nostri genitori, con tutto l’amore del mondo, ci hanno donato la vita affinché la si possa vivere appieno. Perché sprecarla rincorrendo qualcosa che non ci darà mai una felicità concreta?
Amiamoci e urliamo al mondo quant’è bella la vita!
È una battaglia dura, ci saranno delle sconfitte, non posso dire che sarà tutta una strada in discesa. Ma, in fondo, a chi piacciono le cose troppo semplici?
Ce la faremo, per le persone a noi care, per le nostre famiglie, ma soprattutto per noi stesse.
Mai arrendersi, mai!
Alla tua coraggiosa rinascita, Nives
Un abbraccio
Clorofilla
Ce la farai! Io ero un caso piuttosto grave ma posso dire di avercela fatta.
Un abbraccio, Martina