Pubblichiamo oggi l’articolo della dottoressa Valentina Viti, Biologa Nutrizionista, su microbiota intestinale e sazietà
Il tempo necessario dopo l’assunzione di un pasto per provare il senso di sazietà è di circa venti minuti, motivo per il quale chi consuma velocemente le pietanze rischia di mangiare in eccesso non dando il tempo necessario al cervello per recepire tale messaggio.
Uno studio recente ha messo in luce la relazione esistente tra i batteri contenuti nel nostro intestino — meglio noti con il termine “microbiota” — e il nostro senso di sazietà. Venti minuti dopo un pasto composto da nutrienti in grado di stimolare la crescita batterica intestinale, batteri di E.coli commensali producono una serie di proteine (come la ClpB), non prodotte precedentemente al pasto, in grado di sopprimere l’assunzione di cibo sia in topi che in ratti affamati in seguito a infusione intestinale di tali proteine. Queste stimolerebbero il rilascio di peptidi coinvolti nel segnale di sazietà come il peptide YY e il GLP-1, coinvolto nel rilascio di insulina. Sulla base di questa osservazione sperimentale, il microbiota — oltre a essere legato al fenotipo metabolico dell’ospite come già ben noto — potrebbe partecipare anche alla regolazione dell’appetito, agendo sul rilascio degli ormoni della sazietà1.
Interessante è l’ipotesi che i batteri intestinali, in quanto dipendenti dall’ospite che colonizzano per la propria sopravvivenza, abbiano un forte interesse a mantenersi in vita in modo stabile, inviando segnali specifici al loro ospite, inclusi quelli di sazietà ma anche di scelta di alcuni cibi rispetto ad altri. D’altronde sappiamo come una diversa composizione in nutrienti della dieta influenzi la presenza di alcuni ceppi di batteri a scapito di altri; per esempio le Prevotella crescono meglio con i carboidrati, le fibre danno vantaggio ai Bifidobacteria, mentre i grassi ai Bacteroidetes2. Tale ipotesi ci fa supporre una certa capacità manipolatoria del microbiota sul comportamento dell’ospite, e numerose sono le evidenze che sembrerebbero dimostrarlo.
Sembrerebbe esserci una correlazione tra il “craving” (voglia spasmodica per alcuni cibi) e la composizione del microbiota, così come per alcuni stati d’animo quali ansia, depressione, malinconia o stati di disforia, che si riflettono inevitabilmente sul comportamento alimentare. Nel momento in cui si somministrano specifici probiotici, in grado di modulare la crescita del microbiota, tali stati d’animo sembrerebbero migliorare. Stessa cosa accade con lo scambio di microbiota tra topi germ-free e non.
Il microbiota sembrerebbe influenzare le preferenze alimentari anche attraverso modifiche dell’espressione di alcuni recettori del gusto. Per esempio alcuni topi germ-free mostrano una diminuzione dei recettori per la percezione dei grassi sia nelle cellule dell’intestino sia sulla lingua, mentre altri una maggiore espressione dei recettori per il gusto dolce, rispetto ai controlli.
Un altro aspetto molto interessante è che più del 50% di dopamina e di serotonina sono prodotte a livello intestinale, così come molti ceppi batterici (E. coli, Bacillus cereus, B. subtilis, Proteus vulgaris, Staphylococcus aureus…) producono dopamina, neurotrasmettitore coinvolto nella ricerca del piacere, e quindi anche di alcune categorie di cibo.
Quindi una via manipolatoria per l’assunzione del cibo sarebbe necessaria al microbiota per creare condizioni nutrizionali adatte per la propria sopravvivenza, anche attraverso la regolazione degli ormoni dell’appetito. Topi germ-free mostrano di avere livelli più bassi di leptina, colecistochinina e altri peptidi coinvolti nella sazietà, mentre numerosi batteri, sia commensali sia patogeni, producono peptidi simili a questi ormoni ma anche a grelina e PYY. Tuttavia l’organismo ospite è in grado di produrre anticorpi contro questi peptidi microbici, come difesa da questa manipolazione, ma tali anticorpi possono agire anche come auto-anticorpi verso gli ormoni prodotti dall’ospite per azione del microbiota. Tale risposta autoimmune implica ancora una volta una capacità di manipolare il comportamento alimentare dell’ospite, sia direttamente mimando ormoni coinvolti nella sazietà, sia indirettamente attraverso la stimolazione di auto-anticorpi che interferiscono con la regolazione dell’appetito.
In questa chiave sperimentale, il senso di sazietà e il livello di appetito di un individuo sembrano essere il risultato di una sorta di conflitto tra microbiota e ospite, dove quest’ultimo risulta quasi impotente di fronte ad azioni manipolatorie dei propri batteri intestinali. Ma l’uomo è dotato di coscienza e conoscenza, e gli studi scientifici attuali e futuri potranno aiutarci a capire meglio come preservare il benessere del nostro intestino e del suo microbiota, sia con l’alimentazione sia con uno stile di vita più sano in generale. In effetti. come biasimarli: voi cosa fareste se vi passassero cibo scarso o di pessima qualità o non adatto alle vostre preferenze alimentari?
Fonti:
- Breton J, et al, — Gut Commensal E.coli Proteins Activate Host Satiety Pathways following Nutrient-Induced Bacterial Growth — Cell Metab. 2015 Nov 20. pii: S1550-4131(15)00566-5. doi: 10.1016/j.cmet.2015.10.017
- Wu GD, et al, — Linking long-term dietary patterns with gut microbial enterotypes — Science. 2011 Oct 7;334(6052):105-8. doi: 10.1126/science.1208344
- Alcock J, et al, — Is eating behavior manipulated by the gastrointestinal microbiota? Evolutionary pressures and potential mechanisms Bioessays — Bioessays. 2014 Oct;36(10):940-9. doi: 10.1002/bies.201400071