L’uomo, nel corso dei secoli, ha costantemente modificato le sue abitudini alimentari in base ai mutamenti sociali, politici ed economici, ai fattori climatici e ai credo religiosi. Il cibo è stato da sempre rappresentativo della cultura di un popolo e dei suoi cambiamenti, definendo il senso di appartenenza a questa o a quella comunità. La varietà di cibo messo a disposizione dalla natura ha fatto sì che ogni popolo scegliesse tra gli alimenti commestibili offerti. I popoli del Mediterraneo preferivano il consumo di orzo e farro anziché del grano, che oggi invece ha preso il sopravvento. Gli europei non consumavano insetti e si scandalizzavano o meravigliavano nel veder mangiare lumache e rane, al contrario degli africani, degli asiatici e degli americani che ne facevano invece il loro cibo carneo principale. Il consumo di ogni carne bovina era invece negato agli indù, mentre gli ebrei avevano una serie di divieti che nascevano da antiche interpretazioni igieniche della Bibbia. L’uomo va oltre ciò che mangia, dal momento che dà ai cibi forma e valore e si distingue dagli altri esseri viventi per la sua capacità di simbolizzare: il cibo rappresenta per lui lo «strumento simbolico per eccellenza». Ma allora qual è il cibo dell’uomo?
Il cibo dell’uomo dovrebbe essere un cibo naturale, non trasformato, non addizionato di sostanze estranee, più simile a quello che consumavano i nostri antenati.
Ritrovare il cibo dell’uomo, imparare a riconoscerlo, a conservarlo e cucinarlo si è rivelato utile, secondo importanti studi scientifici, per la prevenzione dei tumori.
Come suggerisce Michael Pollan nel suo aureo libretto In difesa del cibo (Adelphi, 2009): «Andiamo a fare la spesa accompagnati dalla bisnonna (la nonna potrebbe essere troppo giovane) e tutto quello che lei non riconosce come cibo non compriamolo».
Per approfondimenti:
A. Villarini, G. Allegro – Prevenire i tumori mangiando con gusto – Sperling & Kupfer, 2013