Lo sforzo comune di antropologi, biochimici, genetisti e archeologi ha permesso di ricostruire in maniera efficace almeno le tappe principali del lungo cammino che ha portato all’evoluzione della nostra specie.
A renderci quello che siamo hanno contribuito meccanismi genetici, ambientali, nutrizionali, ma anche fattori legati alla cultura e alla socialità tipici della nostra specie, in una mescolanza di legame con la natura — più strettamente animale — e di desiderio di dominarla grazie a un’autocoscienza tipicamente umana.
Proprio questo, secondo me, rende così affascinante l’argomento, e quindi voglio riportare quanto ipotizzato in una pubblicazione che prende in considerazione problematiche nutrizionali legate alla propensione per l’estetica e l’arte, che sembra essere esplosa già con la comparsa dell’uomo di Neanderthal.
Già 200.000 anni fa l’uomo utilizzava a scopo ornamentale l’ocra rossa — un pigmento inorganico naturale derivato dall’ematite (un minerale ricco di ferro) — e le conchiglie, i cui ritrovamenti sono stati utili anche per tracciare le migrazioni lungo le coste che hanno caratterizzato la colonizzazione della superficie terrestre da parte dell’uomo moderno.
È ormai riconosciuto il ruolo del cibo di origine marina, facilmente reperibile durante le migrazioni nelle zone intertidali, nel sostenere l’evoluzione del cervello per il suo contenuto in acidi grassi omega 3 (in particolare DHA) e di minerali come lo iodio e il litio. Ugualmente è conosciuto anche il ruolo del ferro e delle proteine che lo contengono, emoglobina e ferritina, come elemento essenziale nello sviluppo delle capacità cognitive.
L’autore dell’articolo, lo spagnolo Carlos M. Duarte, aggiunge all’effetto diretto sull’evoluzione del cervello del consumo di alimenti di origine marina — dimostrato appunto dagli scarti delle conchiglie accumulati in molti siti archeologici — anche il possibile ruolo dell’ocra rossa. Questa è costituita da una forma stabile, insolubile e ossidata di ferro (Fe2O3), ma anche da forme non emiche, come ferriidrite, magnetite e maghemite metastabili e, soprattutto quando si depositano in ambiente acido, biodisponibili. La loro biodisponibilità aumenta se si mescolano al cibo, al midollo osseo e al carbone come avviene d’abitudine in alcune popolazioni. Ferriidrite e maghemite, con diversi ligandi, sono utilizzate attualmente nella supplementazione di ferro per curare l’anemia.
L’ocra rossa può essere stata perciò verosimilmente una fonte di ferro indispensabile per il cervello, soprattutto nei momenti iniziali dello sviluppo, sia per contaminazione accidentale (nell’uso che se ne è fatto per la pittura e la decorazione del corpo) sia perché mescolata al cibo (come in alcune culture più recenti che già la consideravano un farmaco).
Poiché il cibo di origine marina non è molto ricco di ferro, l’uso dell’ocra avrebbe potuto sopperire a questa carenza, soprattutto per le donne in gravidanza che ne hanno una maggiore necessità, favorendo lo sviluppo del cervello e la riproduzione.
Lo stesso autore ammette che quella espressa nella sua pubblicazione è un’ipotesi che deve essere convalidata, ma in effetti il fatto che ocra rossa e molluschi marini siano utilizzati contemporaneamente da 200.000 anni, da Neanderthal, Aztechi, Maya, Indiani d’America (chiamati appunto pelle rossa) fino a popolazioni attuali come Maori e Masai, è una buona base per ipotizzare che questi due elementi abbiano fornito insieme il vantaggio di una fonte di nutrienti specifici per lo sviluppo del cervello, oltre a essere associati nella decorazione.
Fonte:
Duarte CM — Red ochre and shells: clues to human evolution — Trends Ecol Evol. 2014 Oct;29(10):560-5. doi: 10.1016/j.tree.2014.08.002