«Il peggio arrivò verso la fine. Moltissime persone morirono proprio alla fine, e io non sapevo se avrei resistito un altro giorno. Un contadino, un russo, Dio lo benedica, vide in che stato ero, entrò in casa e ne uscì con un pezzo di carne per me».
«Ti salvò la vita».
«Non lo mangiai».
«Non lo mangiasti?».
«Era maiale. Non ero disposta a mangiare maiale».
«Perché?».
«Che vuol dire perché?»
«Come? Perché non era kosher?».
«Certo».
«Ma neppure per salvarti la vita?».
«Se niente importa, non c’è niente da salvare».
Questo dialogo vede protagonista la nonna dell’autore, dopo la guerra si viveva di stenti, ma nonostante la fame non volle mangiare maiale perché contrario alla sua morale ebrea.
Il libro è un racconto in prima persona, Foer svolge un’indagine sugli allevamenti attraverso interviste e intrusioni notturne, parlando con allevatori virtuosi e addetti alla macellazione degli impianti intensivi; facendo riferimento a leggi, normative, testi scientifici e testimonianze degli addetti ai lavori, dipinge il quadro della realtà dell’allevamento intensivo (soprattutto americano): quello che ne esce fuori è un ritratto desolante, osceno a livello igienico-sanitario (oltre che per gli animali, soprattutto per le persone che li mangiano) e ripugnante se si guarda alla condizione animale.
Non è un libro che fa proselitismo del vegetarismo, non è quello lo scopo anche se è probabilmente l’effetto principale. Lo scopo è una riflessione sullo stato degli animali negli allevamenti intensivi e una denuncia alla conoscenza pubblica di quello che si mangia normalmente in tavola. Nessuno, credo, vorrebbe sapere così dettagliatamente cosa ha sopportato quella coscia di pollo che ha nel piatto, né riguardo alla qualità di vita dell’animale né riguardo all’igiene della sua morte. Il saperlo, probabilmente, porterebbe al rifiuto del piatto, indipendentemente da come è stato cucinato, ed è per questo che risulta una preziosa lettura, è per questo che consiglio a tutti di leggere questo libro.
La professoressa di Batteriologia all’università mi disse: «Se cucinate il pollo non fate avvicinare i bambini, usate coltelli e forchette dedicate, possibilmente usate i guanti e dopo lavatevi le mani». Leggendo questo libro si capisce perfettamente il perché di queste raccomandazioni.
“Se niente importa”, se le condizioni di vita degli animali e l’igiene di quello che mangiamo non sono importanti, allora davvero non c’è nulla da salvare.
Per approfondimenti:
J.S. Foer — Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? — Guanda, 2011