Galanga, un ritorno dal Medioevo
Vi ricordate Ildegarda di Bingen, la monaca, mistica, teologa e nutrizionista del Medioevo di cui vi parlai qualche settimana fa? Uno dei rimedi naturali da lei più usati era la galanga. Scopriamo qualcosa di più su questo particolare alimento.
Il nome generico “galanga”, in realtà, si riferisce a più specie di piante erbacee perenni, della famiglia delle Zingiberaceae, originarie della Cina e diffuse in tutta l’Asia, dove crescono sia spontaneamente sia coltivate. Esse variano per dimensioni della pianta e per colorazione e gusto del rizoma. Questo ha un sapore molto simile a quello dello zenzero; in genere leggermente più dolce, a volte invece decisamente pungente.
Il genere Alpinia, cui appartiene la galanga, conta circa 250 piante con piccole differenze morfologiche e di profumazione che spesso solo gli esperti riescono a identificare. Le più comuni e più studiate sono Alpinia officinarum (galanga minore) e Alpinia galanga (galanga maggiore).
In Europa, nonostante fosse conosciuta nel Medioevo, la galanga è stata reintrodotta solo recentemente grazie al diffondersi delle cucine etniche, soprattutto quella indiana e quella tailandese. Il consumatore che vorrà acquistarla dovrà comunque fare molta attenzione al prodotto che gli viene fornito perché in etichetta non sempre è specificata la nomenclatura completa e quindi potrebbe trattarsi di un prodotto con caratteristiche diverse rispetto a quelle desiderate.
Il rizoma viene utilizzato comunemente nella cucina orientale: in Cina, in India e nel Sud-Est asiatico, con distribuzione di specie differenziata nei vari Paesi. Il frutto può essere utilizzato come sostituto di quello del cardamomo, un’altra pianta della famiglia delle Zingiberaceae.
Oltre all’uso in cucina, la galanga viene utilizzata come farmaco naturale. Nella medicina cinese viene tradizionalmente usata come antiartritico, antiflogistico, analgesico, antiemetico, carminativo e antispastico.
Non si sa quale delle due sottospecie principali fosse disponibile in Europa nel Medioevo, e quindi quale fosse utilizzata da Ildegarda di Bingen. La galanga era comunque nota e impiegata sia a scopo preventivo sia curativo (per esempio veniva consigliata per tutte le malattie cardiache, infiammatorie e intestinali). Probabilmente è per questo motivo che, attualmente, Alpinia officinarum è riportata nella farmacopea in Germania e in Svizzera relativamente alla sua attività antispastica, antiflogistica e antibatterica.
La ricerca farmacologica ne ha infatti confermato le proprietà medicinali: il rizoma contiene oli essenziali come pinene, cineolo, eugenolo e altri terpeni; contiene inoltre composti specifici come il flavonolo galangina.
Gli estratti sono stati studiati come antinfiammatori, antitumorali, antibatterici, antivirali e antimicotici. Il meccanismo d’azione sembra coinvolgere l’attività antiossidante, la soppressione dell’espressione dell’ossido nitrico sintetasi e l’inibizione della sintesi di prostaglandine e di leucotrieni. Gli studi in vitro hanno permesso di evidenziare significative differenze nell’attività antimicrobica e antitumorale degli estratti di A. galanga e A. officinarum: la seconda mostra una maggiore attività su E. Coli, Candida albicans e B. subtilis, ma anche su alcuni ceppi di Streptococco. Prodotti ottenuti con altri metodi di estrazione hanno dimostrato anche attività antifungina, antielmintica e insetticida.
Sono stati identificati numerosi composti della galanga che hanno mostrato una promettente attività antitumorale su linee cellulari di tipo diverso (compresi i neuroblastomi, particolarmente resistenti alle attuali terapie, i tumori gastrici e i melanomi); d’altro canto gli studi pubblicati non permettono ancora di identificare un principio attivo specifico.
Estratti del rizoma di A. officinarum hanno inoltre mostrato attività sugli enzimi pancreatici, specificatamente sulla lipasi, e un’interessante attività antiaggregante come antagonista del fattore attivante le piastrine (PAF).
Tutto questo non fa che confermare le esperienze antiche sia occidentali sia orientali.
Ovviamente sono studi effettuati su estratti e non sul prodotto alimentare, quello che possiamo trovare nei mercati etnici o nelle drogherie più fornite; ci aiutano però a capire per quali motivi potrebbe essere utile introdurre la galanga nella nostra dieta. Non esistono controindicazioni ufficiali però, dati gli effetti sulla digestione, se ne sconsiglia l’uso a chi soffre di gastrite e, in conseguenza dall’attività antiaggregante, se ne sconsiglia l’uso come integratore a chi assume terapie anticoagulanti. Non sono riportati problemi per l’uso alimentare e occasionale.
Per chi non vuole convertirsi alla cucina tailandese, la galanga, in radice o in polvere, può essere aggiunta anche a piatti più tradizionali della nostra cucina (minestroni, zuppe, marinatura di carne o pesce), insieme o al posto del pepe. Il dosaggio dipende dal prodotto a disposizione (il gusto della polvere può diminuire con il tempo) e dalle preferenze individuali: varia da una punta di cucchiaino a un cucchiaino colmo a persona. Con la radice fresca, più difficile da reperire in Italia, è possibile fare un infuso digestivo.
Vi propongo una ricetta, una variante della classica zuppa di farro.
Zuppa di farro con galanga
Ingredienti per 4 persone
- 1 bicchiere di farro secco
- 1 bicchiere di fagioli secchi
- 300 g di carote
- 300 g di ravizzoni
- 300 g di foglie di bietola
- 2 litri d’acqua
- galanga, cumino, timo, sale e pepe
Preparazione
Far cuocere nei due litri d’acqua le verdure lavate e pelate, assieme ai fagioli secchi. Separatamente, far cuocere il farro per un’ora circa.
Passare le verdure e i fagioli nel passaverdura e conservare l’acqua di cottura, in cui vanno versati il purè di verdure ottenuto, il farro, sale e pepe, mezzo cucchiaino da caffè di cumino e di galanga, e il timo.
Cuocere per 10 minuti e servire la zuppa molto calda.
Per approfondimenti:
- F. Capasso, R. De Pasquale, G. Grandolini, N. Mascolo — Farmacognosia — Springer Science & Business Media, 2000
- Lu CL, et al. — Evaluation of multi-activities of 14 edible species from Zingiberaceae — Int J Food Sci Nutr. 2013 Feb;64(1):28-35. doi: 10.3109/09637486.2012.694852
- FAO — Database ECOCROP
- BGA Commission — Phytotherapeutic Monographs: Galangal — Germany, Revised March 2013
- Swissmedic, Istituto svizzero per gli agenti terapeutici — Chinese Herbal Medicine, lista TAS — Materia Medica, 2011
- W. Strehlow — La medicina di santa Ildegarda — Edizioni Mediterranee, 2002
- Ghosh S, Rangan L — Alpinia: the gold mine of future therapeutics — 3 Biotech, 2013 Jun; 3(3):173–185
- D Maurin, J Fournier-Rosset — Le “ricette della gioia” con Santa Ildegarda — Edizioni Segno, 2014
Come migliorare il rendimento nelle arti marziali?
Pubblichiamo oggi l’articolo del dottor Riccardo Passarelli, Biologo Nutrizionista e Maestro di kung fu, sul ruolo dell’alimentazione nelle arti marziali
Le arti marziali incarnano vari aspetti che ben si correlano a un’adeguata alimentazione. Svolgere le arti marziali significa acquisire consapevolezza delle nostre potenzialità, gestire il nostro corpo in maniera ottimale a seconda delle circostanze in cui ci troviamo, rilassare la mente, potenziare e strutturare il fisico e mantenerci in forma.
L’artista marziale, come ogni altro praticante sportivo, necessita per l’attività che svolge di un’attenta analisi sotto il profilo nutrizionistico. Il rendimento di un atleta professionista o di un semplice praticante è un fattore fondamentale, che è dato dal suo impegno e dalla sua passione; questo si traduce in una cura attenta di ogni particolare o aspetto che lo circondi. Il fine principale è quello di incrementare la performance fisica e i risultati sul campo, in un’ottica di crescita che avvenga però nel pieno rispetto del nostro organismo e della nostra salute. Per ottenere ciò, al di là di un adeguato allenamento, conta come ci nutriamo. Un artista marziale che pratica kickboxing, kung fu o un’altra disciplina necessita di un introito calorico adeguato al suo dispendio energetico, di una corretta idratazione e — quando ve ne è bisogno — anche di una corretta integrazione.
Durante la nostra attività marziale, svolgiamo un lavoro a bassa frequenza e un lavoro ad alta frequenza. A seconda del tipo di lavoro che svolgiamo andiamo a stimolare differenti fibre muscolari e di conseguenza differenti substrati energetici (glucosio o lipidi). Prima di svolgere gli allenamenti è buona prassi nutrirci in maniera adeguata, prediligendo una dose di carboidrati che ci permetta di avere più energia sul campo (come una fetta di pane di segale con miele o marmellata). Dopo l’attività fisica, invece, è preferibile assumere una quantità corretta di carboidrati e proteine per non incorrere in un eccessivo catabolismo muscolare, dovuto all’intensa attività svolta. In questo modo preserveremo la nostra massa muscolare. I cibi utili nel post-workout, quindi, possono essere una fetta di pane di segale con bresaola o tonno oppure due yogurt magri.
Il principale cardine su cui dobbiamo puntare per incrementare la nostra performance atletica è però senza dubbio l’idratazione: una perdita di acqua pari all’1% del peso corporeo è in grado di determinare un calo della prestazione sportiva di circa il 5%, mentre una perdita del 5% comporta una riduzione del 30% della prestazione, con rischio di crampi.
In casi specifici, sempre su consiglio di esperti in nutrizione, possiamo abbinare a una corretta alimentazione anche l’utilizzo di integratori. Un’integrazione utile, che consiglio a chi pratica arti marziali, può includere aminoacidi ramificati (per aumentare la resistenza muscolare, preservare la massa muscolare e facilitare il recupero) oppure creatina (per incrementare la forza esplosiva nei nostri allenamenti).
Le arti marziali, come ogni altro sport, accentuano la produzione di radicali liberi (dannosi); per questo motivo è buona norma seguire sempre un’alimentazione ben equilibrata ricca di polifenoli, che hanno una funzione antiossidante e anticancerogena. Possiamo trovarli in vari alimenti: tè, cacao, cioccolato fondente, frutti di bosco, agrumi, vino, ciliegie, olio extravergine di oliva, aglio, cipolla, radicchio, cavolo, broccoli e pomodoro.
Praticando la nostra disciplina è bene inoltre non essere in sovrappeso, ma avere un peso nella norma. Se ciò non fosse, è consigliabile affidarsi a un nutrizionista che valuterà il migliore approccio al fine di ottenere i risultati desiderati. Allo stesso tempo, svolgere le arti marziali di sicuro incentiverà il raggiungimento di una buona forma fisica. In ambito sportivo spesso sentiamo parlare di digiuno intermittente, dieta a zona, diete chetogeniche… ma è bene che questi approcci nutrizionali siano affrontati solo sotto la guida di uno specialista.
Nello svolgere un sano percorso nutrizionale, che ci porti a migliorare il nostro status, non sottovalutiamo l’apporto vitaminico datoci da frutta e verdura, i fermenti lattici utili a ripristinare una buona flora batterica intestinale (yogurt), omega 3 e omega 6 (frutta secca e pesce azzurro), carboidrati per lo più integrali, proteine di varie fonti animali e vegetali (uova, pesce, carne, legumi) e la riduzione dei grassi saturi (panna, burro, eccetera).
Ulteriori indagini più approfondite per migliorare il nostro rendimento possono includere anche la misurazione della composizione corporea attraverso la bioimpedenziometria e la valutazione del nostro dispendio energetico mediante un holter metabolico. Avere una buona composizione corporea di sicuro ci aiuterà nella performance atletica, così come conoscere quanto consumiamo giornalmente può aiutarci a capire ciò di cui necessitiamo.
Con un’equilibrata alimentazione e un sano riposo è possibile evitare di incorrere in infortuni e sovrallenamento, entrambi dannosi per la performance.
Lo svolgimento delle arti marziali induce la produzione di citochine (IL-6, IL-15), che esercitano un’azione antinfiammatoria significativa nella riduzione del grasso viscerale, responsabile dell’infiammazione cronica che predispone a patologie come il diabete tipo 2, la sindrome metabolica, le malattie neurodegenerative e il cancro. Un’altra importante citochina prodotta è l’irsina (FNDC5), responsabile della trasformazione del grasso bianco in grasso bruno, con ripercussioni positive sul metabolismo.
Qualunque sia la nostra disciplina marziale (karate, kung fu, muay thai) è sempre bene associare e includere in essa esercizi di resistenza e di potenziamento muscolare, per esempio: programmi di cardio al tapis roulant ed esercizi di potenziamento come flessioni, trazioni e squat. Entrambi ci consentiranno una migliore resa nella pratica sportiva e nelle tecniche marziali con il nostro compagno. I primi incentiveranno la perdita di grasso, l’innalzamento della soglia anaerobica e il miglioramento della nostra resistenza; i secondi interverranno sull’aumento del numero e della dimensione delle miofibrille, seguito a ruota dall’incremento mitocondriale, capillare e sarcoplasmatico.
In conclusione, quindi, una buona pratica marziale e una corretta alimentazione sono quanto di meglio il nostro organismo possa ricevere da noi. La loro sinergia agirà a livello psichico e fisico e ci condurrà a essere persone migliori!
Fonti:
- Trommelen J, et al. — Resistance Exercise Augments Postprandial Overnight Muscle Protein Synthesis Rates — Med Sci Sports Exerc. 2016 Sep 23
- Meijer JP, et al. — Single muscle fibre contractile properties differ between body-builders, power athletes and control subjects — See comment in PubMed Commons below Exp Physiol. 2015 Nov;100(11):1331-41. doi: 10.1113/EP085267
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Artioli GG, et al. — It is Time to Ban Rapid Weight Loss from Combat Sports — Sports Med. 2016 Nov;46(11):1579-1584
- Pontus Boström, et al — A PGC1-α-dependent myokine that drives brown-fat-like development of white fat and thermogenesis —NatureVolume:481,Pages:463–468; 2:doi:10.1038/nature10777
- Pedersen BK, Febbraio MA — Muscle as an endocrine organ: focus on muscle-derived interleukin-6 — Physiol Rev. 2008 Oct;88(4):1379-406. doi: 10.1152/physrev.90100.2007
- Pedersen BK — Muscles and their myokines — J Exp Biol. 2011 Jan 15;214(Pt 2):337-46. doi: 10.1242/jeb.048074
Un cibo prezioso dalla macrobiotica: le prugne umeboshi
Negli ultimi anni anche in Europa si è diffusa la passione per la cucina giapponese, che ha portato a conoscere e apprezzare cibi prima mai visti.
Fra questi, le prugne umeboshi meritano veramente di essere trattate, sia per le loro potenzialità in cucina sia per le caratteristiche salutari che le hanno fatte entrare già 3000 anni fa nella medicina tradizionale cinese.
Dal punto di vista botanico si tratta dei frutti dell’albero Prunus mume, dal colore arancio scuro e in realtà più simili a un’albicocca che a una prugna.
Originario della Cina, è stato poi adottato in Giappone e, come sempre accade, in questo Paese ha assunto delle caratteristiche particolari; i frutti sono infatti più rotondi e carnosi e con sapore più acidulo di quelli che si trovano altrove.
Il frutto raggiunge le dimensioni massime a giugno ed è colto prima della maturazione, quando è ancora verde e il suo contenuto in acido citrico è massimo. Proprio questa sostanza conferisce infatti la maggior parte delle caratteristiche salutari attribuite a questo cibo molto antico: alleviare la fatica, contrastare il carico acido di alcuni cibi come le proteine animali, facilitare l’assorbimento intestinale di ferro, calcio e magnesio.
In Giappone sono simbolo di forza, utilizzate dai samurai per sostenersi in battaglia e dai lottatori di sumo, esaltate dalla macrobiotica come rimedio dopo eccessi alimentari, stanchezza, iperacidità di stomaco. Per la faringite si utilizzano i semi commestibili, ridotti in polvere e uniti a una tazza di tè verde bancha o sencha.
Al di là delle forse eccessive aspettative che la tradizione popolare ripone in questo cibo, alcuni effetti positivi potrebbero essere dovuti al gusto estremamente acido che stimola la salivazione e la mobilità gastrointestinale, facilitando la digestione e combattendo la stipsi; inoltre la stessa acidità avrebbe anche effetti antimicrobici, e la fibra contenuta nelle ume modificherebbe favorevolmente le flora batterica. In uno studio preliminare non sono stati dimostrati invece effetti sulle altre manifestazioni dovute a reflusso gastroesofageo.
La preparazione comprende varie fasi: le ume dopo essere state raccolte sono essiccate al sole e messe sotto sale nei barili per circa un mese, successivamente si mettono di nuovo a seccare su stuoie per eliminare il liquido residuo. Dopo una settimana si passa alla seconda fase rimettendole nei contenitori con foglie di shiso (o basilico cinese) che dona un colore rosso, e con acidulato di umeboshi, derivato dalla disgregazione dei frutti dovuta al sale nella prima fase di stagionatura, questo può anche essere imbottigliato e venduto come condimento.
Dopo un anno le umeboshi sono pronte, vendute in barattolo sotto forma di crema o intere, sono utilizzate in cucina, crude o cotte, nei piatti a base di riso e verdure dove possono sostituire il condimento.
Per noi, che non siamo molto abituati a gusti così acidi e salati, il primo assaggio può anche non essere un’esperienza troppo entusiasmante, ma utilizzandole in abbinamento con qualcosa di poco saporito, come del riso bollito senza sale, ci si può abituare e arrivare a trovarle piacevoli: nessuno ha detto che la via del samurai sia in discesa!
Per approfondimenti:
- G. Visci — Il nuovo nel piatto — Ponte alle Grazie, 2012
- Harmon BE, et al. — Nutrient Composition and Anti-inflammatory Potential of a Prescribed Macrobiotic Diet — Nutr. Cancer 2015;67(6):933-40. doi: 10.1080/01635581.2015.1055369
- Maekita T, et al. — Japanese apricot improves symptoms of gastrointestinal dysmotility associated with gastroesophageal reflux disease — World J Gastroenterol. 2015 Jul 14;21(26):8170-7. doi: 10.3748/wjg.v21.i26.8170
Il tartufo
Pubblichiamo oggi l’articolo della dottoressa Alessandra Miccono, Biologa Nutrizionista, sul tartufo
Ogni stagione ha i suoi colori, i suoi odori e anche i suoi prodotti. Da buona piemontese, in questo periodo non posso fare a meno di scrivere un articolo su un alimento che con il suo profumo delizia l’olfatto — e poi anche il palato — di molti: il tartufo. L’Italia (non solo la mia regione) è una grande produttrice di tartufo, bianco o nero che sia.
I tartufi rappresentano il corpo fruttifero di funghi appartenenti alla famiglia delle Tuberaceae, genere Tuber, classe degli Ascomiceti, anche se sotto la denominazione di “tartufo” vengono incluse anche le terfezie, genere della famiglia Terfeziaceae, o tartufi del deserto. Crescono vicino alle piante e con queste stabiliscono un rapporto di reciproco scambio, detto micorriza, fondamentale per produrre lo sporocarpo (la parte che viene venduta e mangiata).
Sono caratterizzati da una parete esterna, detta peridio, che può essere liscia o rugosa e da una parte interna, detta gleba. Le cellule sono chiamate aschi e contengono le spore.
Questo fungo particolare deve l’origine del suo nome alla pietra (il tufo) con cui mostra una notevole somiglianza. Il termine venne con il passare del tempo declinato nelle forme dialettali tartùfola, trìfula, tréffla, trìfola. Si tratta di un alimento conosciuto sin da tempi antichi: è infatti possibile trovarne notizia nella Naturalis Historiae di Plinio il Vecchio, ma si continuò a parlare del tartufo anche in epoca medievale e rinascimentale. Nel 1831 un botanico e micologo italiano, Carlo Vittadini, catalogò tutte le specie conosciute di tartufo. La raccolta di tartufi è regolata e tutelata da una precisa legge (Legge del 16 dicembre 1985, n. 752).
Se si esaminano le proprietà nutrizionali del tartufo nero, si può apprezzare l’elevato valore proteico di questo fungo ipogeo — 77% dell’energia totale — a scapito di grassi e carboidrati che costituiscono rispettivamente il 14% e il 9% dell’energia totale.
100 grammi di tartufo apportano solo 31 Kcal con 8,4 g di fibra.
Da ricerche bibliografiche degli ultimi anni emerge che il tartufo possiede importanti attività antiossidanti grazie a due composti: acido siringico e siringaldeide. Altri dati rivelano che la composizione del corpo fruttifero di T. aestivum risente fortemente dell’ambiente in cui cresce e delle condizioni climatiche: lo stesso tartufo raccolto in Polonia e Slovacchia presenta un contenuto simile in termini di proteine, steroli totali e saccaridi mentre nelle specie coltivate nel nostro Paese è possibile apprezzare un maggior contenuto dei composti analizzati. Nella varietà polacca sono presenti più lipidi e polifenoli, anche se i composti volatili presenti nell’alimento sono simili nel gruppo polacco e in quello italiano.
Il profumo caratteristico del tartufo è dovuto a diversi composti: alcoli, aldeidi, esteri, chetoni e composti dello zolfo. Inoltre, sono presenti al suo interno anche ferormoni steroidei.
A parte le ricette che lo vedono protagonista, in commercio si trovano molti prodotti a cui viene addizionato il tartufo per esaltare l’aroma dell’alimento. Occorre sottolineare che spesso gli oli d’oliva aromatizzati al tartufo vengono preparati con aroma di sintesi a base di bis-metiltiometano e non con tartufo vero e proprio. Attenzione quindi a distinguere tra l’alimento naturale e ciò che invece ha solo una parvenza di naturalezza.
Purtroppo, si sa, a causa del suo costo elevato non è di certo un alimento da portare in tavola tutti i giorni, ma nessuno vieta di godere del suo profumo, magari in una delle tante sagre di questo periodo autunnale.
Bibliografia
- Hilszczańska D. et al. — Comparison of chemical composition in Tuber aestivum Vittad. of different geographical origin — Chemical Biodiversity. 2016 Sep 7- doi: 10.1002/cbdv.201600041
- Stanikunaite R. et al. — Cyclooxygenase-2 inhibitory and antioxidant compounds from the truffle Elaphomyces granulatus — Phytotherapy Research. 2009 Apr; 23(4):575-8 – . doi: 10.1002/ptr.2698
- Centro Nazionale Studi Tartufo
- CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) — Tabelle di composizione degli alimenti
- Cercotartufo.it
Un messaggio di speranza
Mi chiamo Stella, ho quasi trent’anni e per metà della mia vita ho avuto un disturbo dell’alimentazione.
Per tanti anni ho rimandato e negato, troppo dolore da affrontare. Potessi tornare indietro cambierei tutta la mia vita dai quattordici anni in poi… Forse però questi anni li ho usati per raccogliere la forza e il coraggio di adesso. Quella forza e quel coraggio che mi hanno portata a chiedere aiuto. Ci vogliono anni, e le persone adatte a fianco, per accettare il problema e ci vogliono le mani giuste per darti la spinta.
Sarebbe bello se per ogni adolescente insicura come ero io ci fosse qualcuno ad aiutarla nel modo giusto, per evitare tutta quella cascata di dolore che per anni ha investito me. Quanto vorrei non veder più su internet siti che inneggiano all’anoressia, riviste con diete assurde, ragazzine che chiedono sui social network come si fa per diventare anoressiche. Quanto mi fa male questa cosa.
L’anoressia, questa malattia che mi illudeva, mi aiutava, mi faceva sentire diversa, mi distruggeva, mi coccolava. Vorrei non averla mai conosciuta, perché ora è come una parte di me, difficile da lasciare andare. Mi sono accorta però che posso assopirla, piano piano, fino a farla svanire. Ci vorrà tempo, ma sopratutto coraggio.
Il coraggio non mi manca e merito questa mia rinascita. Pochi hanno la fortuna di vivere una seconda vita e io non voglio sprecarla.
Son stata un bravo capitano in tutti questi anni, ho spinto una barca enorme oltre ogni limite. Ho visto posti vicini e lontani di cui nemmeno ricordo il profumo e la bellezza. Sempre troppo impegnata a tenere le emozioni sotto controllo, senza mai mollare il timone nemmeno per attimo. Mi sono sentita fuori posto ovunque, ma col passare del tempo ho capito che non esiste la normalità, ma esisto io e la voglia di avere sempre più cura di me e di smetterla di farmi del male.
Ora è giunto il momento di lasciarmi andare, sdraiarmi su un prato a guardare il cielo, sentire il profumo dei fiori e fermarmi a osservare tutto ciò che mi piace, senza fretta, dire un «Ti voglio bene» in più e, perché no?, abbracciare qualcuno senza paura. Sarò sempre un buon capitano, ma adesso voglio e posso cambiare rotta!
Senza le mani giuste però probabilmente non ce l’avrei mai fatta, quindi grazie a chi con dedizione, passione e competenza si dedica alla cura dei disturbi dell’alimentazione.
A Stella: abbi cura di splendere.