Pubblichiamo oggi l’articolo della dottoressa Roberta Martinoli, Biologa Nutrizionista e Medico, sull’omocisteina e il suo ruolo nelle malattie cardiovascolari
Era il 1969 quando McCully pubblicava su «American Journal of Pathology» un articolo dal titolo Vascular pathology of homocysteinemia: implications for the pathogenesis of arteriosclerosis.
Scriveva l’autore:
Individuals with homocystinuria have been found to lack normal activity of the enzyme cystathionine synthetase. In many of the patients progressive arterial disease develops in childhood, frequently resulting in death from a thrombosis in a vital organ.
che può essere tradotto come:
Le persone con omocisteina nelle urine hanno un deficit di attività nell’enzima cistationina sintetasi. In molti di questi pazienti si sviluppano fin dall’infanzia malattie dei vasi circolatori che hanno frequentemente un esito fatale dato da una trombosi in un organo fondamentale.
I bimbi di McCully, a causa del loro deficit enzimatico e del conseguente accumulo di omocisteina, presentavano alterazioni scheletriche ed ectopia lentis (una dislocazione del cristallino dell’occhio) e spesso morivano precocemente a seguito di una trombosi venosa profonda o di gravi eventi cardiovascolari.
L’omocisteina è un amminoacido solforato “non alimentare”. Non lo assumiamo dunque con ciò che mangiamo ma lo produciamo come intermedio metabolico nella reazione di trasformazione della metionina in cisteina.
Metionina, colina, betaina e S-adenosilmetionina (o SAM) sono tutti donatori di gruppi metilici (-CH3) e partecipano al processo biochimico noto come metilazione. Grazie alla metilazione è possibile riparare il DNA danneggiato oppure sintetizzare ormoni, neurotrasmettitori e molecole di vitale importanza per il buon funzionamento dell’organismo (quali creatina, carnitina, ormoni steroidei, poliammine, melatonina e amine biogene). A facilitare la cessione del gruppo metilico dalla molecola che fa da “donatore” a quella che fa da “accettore” contribuiscono i cosiddetti fattori di metilazione (vitamine B12, B6, acido folico o vitamina B9, zinco).
La metionina, assunta con la dieta oppure derivante dalla degradazione delle proteine endogene, viene convertita a livello intracellulare in S-adenosilmetionina (SAM). Questa molecola svolge il ruolo di donatore universale di gruppi metilici. Nel momento in cui l’S-adenosilmetionina dona il suo gruppo metilico, si trasforma in S-adenosilomocisteina e questa viene a sua volta idrolizzata in omocisteina e adenosina.
L’omocisteina rappresenta dunque un prodotto di scarto e per evitare un suo accumulo patologico sono predisposte due diverse vie metaboliche:
- una nuova metilazione ricreando la metionina a opera della metionina sintetasi, che usa la vitamina B12 (cobalamina) come cofattore e il 5-metiltetraidro-folato (MTHF) come substrato, oppure
- la transulfurazione in cistationina a opera della cistationina b-sintasi (quella di cui erano carenti i bimbi di McCully) in una reazione irreversibile dipendente dalla vitamina B6 (piridossal-5-fosfato).
In presenza di adeguate quantità di vitamina B6 il 50% di tutta l’omocisteina viene convertita in cistationina. La cistationina viene a sua volta convertita in cisteina e questa partecipa assieme all’acido glutammico e alla glicina alla sintesi del glutatione, il più potente degli antiossidanti prodotti dal nostro organismo. Il restante 50% dell’omocisteina subisce per contro una rimetilazione a metionina.
Quando però le due vie metaboliche si saturano (o siamo in presenza di una carenza di vitamine B12, B6 e di acido folico) la concentrazione intracellulare di omocisteina cresce fino a che questo amminoacido non comincia a riversarsi nel torrente circolatorio dove si lega alle proteine plasmatiche. L’iperomocisteinemia è dunque una spia del fatto che il processo di metilazione sta avvenendo in maniera inefficiente.
Dall’epoca di McCully si sono fatti notevoli passi avanti nella comprensione di questo dismetabolismo e delle sue implicazioni cliniche. Numerosi rilievi epidemiologici hanno documentato la correlazione tra iper-omocisteinemia e morbo di Alzheimer, tumori, manifestazioni trombo-emboliche, aterosclerosi, malattie cardiovascolari, insufficienza cardiaca congestizia, ictus, emicrania, perdita dell’udito, osteoporosi e degenerazione maculare.
Ma in che modo l’omocisteina riesce a produrre effetti così devastanti?
In primo luogo, questa molecola è in grado di innescare reazioni che culminano con la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS, Reactive Oxygen Species), i famosi radicali liberi. Sono molecole instabili a causa della presenza di una carica negativa molto reattiva, questo le fa reagire con molecole vicine causando spesso un danno molecolare. È attraverso questo meccanismo che le ROS finiscono con il danneggiare le pareti dei vasi predisponendole alla formazione della placca ateromatosa. In secondo luogo, una forma modificata di omocisteina si aggrega alle lipoproteine che formano il colesterolo LDL. Tale complesso viene fagocitato dai macrofagi che si trasformano in cellule schiumose (foam cells). A questo punto la parete del vaso è danneggiata e in più sono presenti le cellule schiumose. È in questo modo che si formano le strie lipidiche, lesioni infiammatorie che preludono alla formazione della placca ateromasica.
In aggiunta a ciò, l’omocisteina provoca l’innalzamento del fibrinogeno (che normalmente è usato per un processo coagulativo in seguito a lesioni) e disattiva l’ossido nitrico (una molecola con attività vasodilatrice) a livello della parete dei vasi. Il fibrinogeno in combinazione con la trombina favorisce la formazione del coagulo, inoltre aumenta la viscosità ematica e stimola la proliferazione delle cellule muscolari lisce a livello della parete vascolare. Per tutti questi motivi il fibrinogeno contribuisce alla formazione della placca ateromasica. Per contro, l’ossido nitrico prodotto dalle cellule endoteliali ha proprietà vasodilatatrici e antinfiammatorie ed è per questo considerato un fattore protettivo nei confronti dell’aterosclerosi. Ma, come abbiamo detto, in caso di iperomocisteinemia la produzione di ossido nitrico risulta compromessa!
Dunque sono già presenti le strie lipidiche, lo stress ossidativo è alto (anche in ragione di un deficit di glutatione che avrebbe avuto il ruolo di neutralizzare le ROS: come detto sopra, un accumulo di omocisteina vuol dire una difficoltà nella rimetilazione di essa, che dovrebbe portare appunto a sintetizzare glutatione), il fibrinogeno è superiore ai valori normali (150-400 mg/dl), l’ossido nitrico è carente e il colesterolo LDL è elevato (>150 mg/dl). Non sarà difficile in queste condizioni che la stria lipidica progredisca fino alla formazione di una placca fibrosa.
Stupisce che questo valore ematochimico sia tanto sottovalutato a livello diagnostico. Basti pensare che la gran parte dei laboratori considerano ancora normali valori plasmatici di omocisteina fino a 12-15 mmol/L quando ci sono evidenze che già valori pari a 10 mmol/L raddoppiano la possibilità di sviluppare malattie cardiovascolari!
L’omocisteina tende ad alzarsi nei seguenti casi:
- con l’età;
- in associazione con stati di malassorbimento;
- in caso di carenza di vitamina B12, B6, acido folico, betaina, vitamina B2 e magnesio;
- nell’insufficienza renale;
- in corso di terapie con farmaci che contrastano l’assorbimento delle vitamine o ne accelerano il catabolismo (vedi metformina, colestiramina, colestipolo, fenofibrati, levodopa, metotrexate, niacina, ossido nitrico, fenitoina e sulfasalazina);
- in caso di tabagismo, di elevata assunzione di caffè o di bevande alcoliche;
- in caso di sedentarietà e obesità.
In Italia poi vi è un’alta prevalenza (15-20%) della mutazione C677T dell’enzima metiltetraidrofolatoreduttasi (MTHFR). In questo polimorfismo si ha la sostituzione di una citosina (C) in timina (T) a livello del nucleotide 677 (C677T), la conseguenza di questo scambio è una modificazione nella proteina finale (tecnicamente una alanina diventa una valina). L’MTHFR è l’enzima che partecipa alla rimetilazione dell’omocisteina a metionina. La mutazione C677T è associata a una riduzione dell’attività enzimatica della MTHFR pari al 50% e fino al 30% in condizioni di esposizione al calore (variante termolabile).
Se l’obiettivo è quello di abbassare i livelli ematici di omocisteina bisognerà dunque intervenire sui fattori ambientali e comportamentali, oltre a optare per un’opportuna integrazione:
- evitare un consumo elevato di alimenti con alto contenuto in metionina quali carne rossa e latticini;
- svolgere una regolare attività fisica (pazienti in riabilitazione cardiovascolare hanno mostrato una riduzione dei livelli di omocisteina con il solo esercizio fisico);
- eliminare il consumo di alcool e il tabagismo;
- valutare l’opportunità di assumere integratori a base di
- vitamine del gruppo B;
- betaina (TMG) e colina;
- N-acetil-L-cisteina (NAC);
- S-adenosilmetionina (SAM);
- taurina.
In conclusione, abbiamo sempre sentito parlare dell’omocisteina come fattore di rischio indipendente perché «da sola è in grado di aumentare l’incidenza di malattie cardiovascolari indipendentemente dalla presenza di altri fattori predisponenti». In realtà un’indipendenza piena si realizza solo per quelle forme di iperomocisteinemia che hanno una base genetica. In tutti gli altri casi è l’individuo con le sue scelte alimentari e legate allo stile di vita a essere artefice della propria salute.
Fonti:
- McCully KS — Vascular pathology of homocysteinemia: implications for the pathogenesis of arteriosclerosis — Am J Pathol (1969), 56, 111-128. PMID: 5792556
- Strain JJ, et al. — B-vitamins, homocysteine and CVD — Proceedings of the Nutrition Society (2004), 63, 597-603
- Williams KT, Schalinske KL — New Insights into the regulation of methyl group and homocysteine metabolism — J. Nutr. (2007), 137, 311-314.
- Miller A.L. — The methionine-homocysteine cycle and its effects on cognitive diseases — Altern Med Rev (2003), 8, 7-19
- Durand P, et al. — Impaired homocysteine metabolism and atherothrombotic disease — Lab Invest (2001), 81, 645-669
- Friedman AN, et al. — The kidney and homocysteine metabolism — J Am Soc Nephrol (2001), 12, 2181-2189
- Iorio E.L. — La modulazione fisiologica d’ossigeno on demand. L’ultima sfida della nutraceutica — EDRA (2015), Capitolo 5: 73