L’alimentazione vegetariana è da sempre vista come un approccio più salutare, per questo molti studi si incentrano su tale aspetto. In particolare, è recentemente uscito un articolo sulla rivista JAMA che conferma il sentore comune: le diete vegetariane riducono il rischio di morte, soprattutto per cause cardiovascolari.
Lo studio è stato condotto su 73 308 Avventisti del Settimo Giorno. Questa popolazione si presta bene a questo tipo di indagine perché, per credo religioso, segue una vita più salutare in genere, non per forza vegetariana, ma che comunque esclude ad esempio fattori di rischio come alcol e tabacco. Il campione è stato diviso in cinque gruppi:
- non vegetariani;
- semivegetariani — persone che mangiano carne e pesce non più di una volta a settimana;
- pescetariani — persone che mangiano pesce almeno una volta al mese, ma non mangiano animali terrestri;
- latto-ovo vegetariani — persone che mangiano prodotti caseari almeno una volta al mese ma non carne e pesce;
- vegani — persone che mangiano prodotti animali meno di una volta al mese.
La ricerca è durata dal 2002 al 2007, in questo periodo ci sono state 2 570 morti nel campione, distribuite però diversamente nei vari campioni: in particolare, il gruppo complessivo dei vegetariani rispetto ai non vegetariani mostrava un tasso di decessi inferiore del 12%, specificatamente per ogni gruppo troviamo un 15% in meno nei vegani, un 9% in meno nei latto-ovo vegetariani, un 19% in meno nei pescetariani, e un 8% in meno nei semivegetariani. Queste percentuali riguardano malattie cardiovascolari, renali ed endocrine, non riguardano invece il cancro.
Studi come questo mettono in luce la necessità di ridurre l’introito di carni, seguire una dieta quanto più a base vegetale e soprattutto varia.
Ancora meglio se nella dieta compare un po’ di pesce.
Come al solito, le uniche regole importanti sono moderazione e varietà.
Fonte:
Orlich MJ, et al. — Vegetarian Dietary Patterns and Mortality in Adventist Health Study 2 — JAMA Intern Med. 2013;():1-8. doi:10.1001/jamainternmed.2013.6473.