Pubblichiamo oggi il contributo dello Psichiatra Domenico Mazzullo che ci aiuta a comprendere i meccanismi psicopatologici che contribuiscono all’insorgenza dell’anoressia nervosa.
Il termine anoressia è inesatto, non rende chiarezza e induce in errore, in quanto anoressia viene dal greco ed è composta di òrexis = appetito e il prefisso an privativo, mentre invece non sempre le pazienti e i pazienti anoressici sono caratterizzati e affetti dalla mancanza dell’appetito.
Per iniziare è necessaria una distinzione fondamentale, senza la quale non è possibile procedere oltre: esistono ed è indispensabile distinguerle, due forme diverse di anoressia, sulla base della derivazione eziologica1.
Una anoressia secondaria, successiva e conseguente ad altre patologie, siano esse fisiche (malattie infettive, neoplastiche, degenerative, eccetera) o psichiche. Tra queste la responsabilità fondamentale spetta di diritto alla depressione in tutte le sue forme, endogena, reattiva, endoreattiva, post-partum, senile, eccetera. L’anoressia è presente, anche se in forma minore, nella psicosi schizofrenica e in alcune personalità psicopatiche.
A tutte queste forme il termine letterale di anoressia = mancanza di appetito spetta di diritto ed è perfettamente appropriato in quanto tutte sono caratterizzate da questa mancanza, più o meno grave e duratura di appetito.
Con una scelta del tutto personale, che può essere senza dubbio criticabile e non condivisa, ascriveremmo a questa forma di anoressia secondaria anche tutti gli episodi, sempre purtroppo più diffusi e frequenti oggi, di comportamenti alimentari alterati e patologici, tesi e miranti alla ricerca di una magrezza o, meglio detto, di una forma corporea che corrisponda ai canoni estetici del tempo e che permetta di uniformarci e appiattirci su questi, trovando in questa uniformità un motivo di rassicurazione, di identificazione personale, di gratificazione estetica, di incorporazione in un gruppo.
Va da sé che questo atteggiamento è particolarmente suggestivo e pericoloso, proprio nelle età adolescenziali e giovanili, quando è più forte e più cogente la necessità di appartenere a un gruppo, di trovare in essa appartenenza la nostra identità e rassicurazione esistenziale, la certezza di apprezzamento da parte degli altri. E se i modelli estetici della società sono quelli di una magrezza innaturale ed estrema, ricercata, pubblicizzata, esposta, indotta ad esempio, modello di riferimento e obbiettivo da raggiungere, ecco spiegata come diretta conseguenza la ricerca strenua, affannosa, autolesiva estrema, di ottenere e verificare in noi quei canoni di bellezza imposti da una pericolosa moda e costume.
In questa particolare forma di anoressia, ripetiamo secondaria, il termine letterario di anoressia, nel senso etimologico di mancanza di appetito, è improprio e fuorviante in quanto, ben lungi dal mancare di appetito, queste giovani persone, sono vittime di una fame atroce e giustificata perfettamente dalla assurda privazione di apporto alimentare autoimposta. Spesso in queste giovani persone i periodi di digiuno forzato sono interrotti da crisi improvvise e imprevedibili di bulimia, veri e propri raptus alimentari, con consumo incontrollato, compulsivo ed estremo di grandi quantità di cibo e inevitabili, successivi sensi di colpa e di autoriprovazione che culminano, a volte, con comportamenti espulsivi di quanto ingerito (vomito autoprovocato, uso di lassativi, diuretici, enteroclismi).
Discorso completamente a parte, dobbiamo affrontare per quanto riguarda l’anoressia primaria o primitiva, non conseguente quindi a nessuna altra patologia e legata invece, a nostro parere, a una struttura particolare di personalità, che si esplica e si esprime con molteplici caratteristiche e peculiarità, tra le quali il disturbo del comportamento alimentare, si configura come quella più eclatante e immediatamente visibile, nonché pericolosa e a volte, purtroppo spesso, anche mortale.
Trattasi di una distinzione importante, indispensabile e inalienabile, se non vogliamo incorrere nell’equivoco di facili ed erronee generalizzazioni, di pseudospiegazioni psicologicamente omnicomprensive.
Si evince quindi come nella anoressia primaria il disturbo del comportamento alimentare, responsabile poi delle conseguenze fisiche, spesso anche molto gravi nei pazienti, rappresenta solo l’anello finale di una catena iniziata molto prima, nella struttura di personalità dei pazienti stessi e, proponiamo come ipotesi, conseguente a una struttura genetica.
Discorso molto complesso e certamente non giunto a conclusione è quello sulla eziologia della anoressia nervosa primaria, per le quale sono state formulate ipotesi molteplici, che spaziano dallo psicologismo più radicale ed esasperato, all’assoluto organicismo, ma più probabilmente, a nostro parere, nella patogenesi dell’anoressia nervosa primaria sono implicati fattori psicologici, sociali e genetici.
Si è ipotizzato che le giovani anoressiche vivano un conflitto relativo alla transizione tra adolescenza ed età adulta. Tuttavia, alcuni temi cari alla letteratura più datata, come l’elevato livello socio-culturale, i conflitti familiari, in particolar modo l’anaffettività materna, non sono più descritti tra i fattori predisponenti o precipitanti l’insorgenza dell’anoressia. In passato si è lavorato molto per cercare le cause dei disturbi alimentari all’interno delle famiglie, ma nessuna ricerca ha dimostrato differenze significative nel vivere e relazionarsi in famiglie con un membro affetto da anoressia nervosa rispetto ad altre famiglie, mentre si fa sempre più strada l’ipotesi della base genetica della malattia, che sarebbe responsabile di una struttura di personalità peculiare del paziente anoressico.
Dal punto di vista psichiatrico è opportuno ripetere che erroneamente l’anoressia nervosa primaria è da considerarsi un disturbo del comportamento alimentare, essendo quest’ultimo solo l’anello finale di una catena eziologica che prende origine da una precisa struttura di personalità del paziente anoressico. Caratteristiche fondamentali del paziente che soffrirà, soffre o ha sofferto di questa patologia sono, infatti, ben precise, delineate e ripetentesi con costanza in ogni caso. Ne facciamo solamente una descrizione sommaria, perché una più approfondita esulerebbe dai termini che ci siamo prefissi: personalità rigida e perfezionista, estremamente determinata, pretesa di alte prestazioni in ogni ambito. Forte autostima, intensa volitività, rigidità affettiva, bassa stima degli altri. Tendenza ad autocolpevolizzarsi se queste prestazioni non vengono raggiunte, senso del dovere portato all’estremo, pretesa di un rigido autocontrollo in ogni aspetto della propria esistenza, in modo particolare del proprio fisico e conseguentemente anche dell’alimentazione, sessuofobia, paura delle responsabilità che l’età adulta comporta, desiderio di controllo su tutto ciò che li circonda, umano e materiale, paura delle novità e degli imprevisti, consequenziale organizzazione rigida della propria vita.
- La classificazione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder (DSM-IV) così come per tutto il resto della patologia psichiatrica di cui si occupa, anche nel caso dei disturbi del comportamento alimentare si manifesta e si dimostra solo ed esclusivamente come una classificazione descrittiva, pedissequa e puntigliosa, ma priva completamente di ogni valutazione eziologia, ovvero delle cause, e soprattutto di una logica psicopatologica, indispensabile per una corretta comprensione del fenomeno patologico al di là e al di sopra di una pura elencazione di sintomi. A questo punto mi sembra indispensabile introdurre nella classificazione oltre al criterio sintomatologico, un più importante criterio eziologico, e un ragionamento psicopatologico.
Per approfondimenti:
D. Mazzullo — La depressione, conoscerla per non averne paura — Edizioni Mediterranee, 2004
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