Quando si parla di cucina tradizionale, spesso ci si dimentica che le nostre tradizioni sono “abbastanza” recenti: basta pensare che pomodoro, patate e peperoncino non esistevano in Italia prima della scoperta dell’America. Provate a togliere il pomodoro e i fagioli dalla dieta mediterranea, e ditemi cosa ne rimane!
La ricerca di questi studiosi si riferisce, quindi, alla cucina del XIV e XV secolo: periodi in cui gli scambi erano frequenti e le persone, spostandosi, portavano con sé gusti alimentari, ma anche alimenti veri e propri: spezie, agrumi, mandorle. Basta pensare allo zafferano che proviene dall’Asia, ma proprio nel Medioevo è diventato fonte di ricchezza per la città de L’Aquila, e alla fine del XIII secolo veniva esportato in tutto il Nord Europa.
Se ci si trova davanti a materie prime nuove, diventa indispensabile saperle utilizzare correttamente: per questo sono nati una serie di ricettari che hanno permesso ai ricercatori di ricostruire le abitudini alimentari di Francia e Italia, che creavano però “mode” per il resto d’Europa. Ovviamente chi scrive i ricettari, in quell’epoca, è soprattutto chi cucina per i più ricchi, per cui è su queste categorie che ci sono più informazioni. Sembra comunque che il modello alimentare sia comune a entrambi i paesi, più simile all’attuale cucina del centro Italia (Emilia, Toscana, Umbria…) che all’Italia o alla Francia del sud, accomunate da uno stile più mediterraneo.
Com’era composta dunque l’alimentazione?
Frutta e verdura erano presenti anche se, ovviamente, abbiamo più informazioni relative alle verdure cotte. Probabilmente la scelta era più limitata, a causa anche dei limiti dovuti alla stagionalità e al trasporto: in molti casi si trattava di erbe “selvatiche” .
Il pane era un alimento chiave, ma la farina non proveniva solo da cereali, ma anche da castagne, soprattutto per chi viveva nelle zone di montagna. E compaiono i ravioli, con i ripieni più vari.
Il consumo di carne era legato sia alla caccia (tra cui aironi, cigni, pavoni) che all’allevamento: maiali e pollame (capponi, oche, anatre) venivano allevati direttamente, mentre agnelli, capretti, vitelli e manzo, venivano acquistati.
Il consumo del pesce era sostenuto dalle norme religiose, per questo si utilizzava sia pesce di mare che di lago.
Bisogna ricordare anche che i metodi di conservazione erano limitanti: per avere varietà alimentare durante l’anno si utilizzavano tecniche che sopravvivono fino ai giorni nostri, anche se non sono così ben viste dai nutrizionisti, come la salamoia, l’essiccazione in sale, la conservazione in strutto o in altri grassi. L’olio d’oliva non sembra molto citato in queste ricette, se non come condimento di insalate o riservato ai giorni di magro.
Ingrediente molto diffuso è invece il latte di mandorle che, in molte preparazioni, sostituisce il latte vaccino.
Quello che andrebbe riscoperto è il ruolo dello speziale: indispensabile sia come fornitore di spezie al cuoco che di quelli che chiameremmo ora fitoterapici per uso medico.
Per approfondimenti:
O. Redon, F. Sabban, S. Serventi — A tavola nel Medioevo: con 150 ricette dalla Francia e dall’Italia — GLF Editori Laterza, 2001