Pubblichiamo il contributo del dottor Roberto Casaccia, Biologo Nutrizionista Specialista in scienza dell’alimentazione, sulla storia delle abitudini alimentari dell’uomo.
L’atto del mangiare è una prerogativa del Regno animale. Il metabolismo delle nostre cellule è infatti di tipo eterotrofo; esse cioè non sono in grado di produrre gli zuccheri a partire dalle sostanze inorganiche come fanno i vegetali tramite la fotosintesi; pertanto queste molecole complesse dovranno essere necessariamente introdotte dall’esterno. In che modo? Ovviamente “mangiando”.
Se l’uomo, come tutti gli altri animali, non fosse eterotrofo, il mondo sarebbe molto diverso da come lo conosciamo. A parte il fatto che probabilmente saremmo di colore verde (per poter effettuare la fotosintesi), verrebbe poi a mancare uno dei pochi piaceri della nostra vita, quello della buona tavola. Anche noi nutrizionisti (insieme a chef e gastronomi) non esisteremmo. Che quadro apocalittico…
Tutti gli animali, a partire dai più semplici, hanno sviluppato una serie di organi e di comportamenti il cui scopo è quello di procurarsi il cibo e di ricavare da esso le sostanze necessarie per la vita, i cosiddetti “principi nutritivi”. I comportamenti legati all’introduzione del cibo si presentano nel mondo animale con tutta una serie di sfumature che vanno dai semplici atti riflessi, come quello del pulcino che apre la bocca riconoscendo i colori del becco della madre (al cui interno ci sarà un prelibato boccone già parzialmente digerito), ai comportamenti umani determinati da tutta una serie di sovrastrutture di tipo culturale e legati a importanti fattori psicologici e sociali.
L’essere umano infatti, in seguito all’evoluzione biologica prima e culturale poi, ha progressivamente perso, o sarebbe meglio dire nascosto, molti dei suoi istinti primordiali. Tra questi la ricerca del cibo per la sopravvivenza. Egli nasce come raccoglitore di bacche e di frutta ma presto, parallelamente allo sviluppo delle prime forme di socializzazione, diventa cacciatore e passa da un’alimentazione prettamente di tipo vegetariano a una alimentazione carnea che ne modifica col tempo la stessa costituzione fisica. Nel Neolitico (circa 10 000 anni fa) compaiono le prime forme di agricoltura e di allevamento che determinano il passaggio da una forma di vita nomade, legata alla disponibilità del cibo, a un più stretto contatto con il territorio che porterà alla nascita dei primi nuclei abitativi stabili e, in seguito, delle grandi civiltà del passato.
Dai Sumeri alla civiltà Egizia, dal mondo Greco a quello Romano, mangiare ormai non è più una questione di sopravvivenza. La cucina diventa particolarmente elaborata (fin troppo per i nostri gusti attuali), i più antichi metodi di conservazione come salagione, essiccamento e affumicamento, sono ormai regolarmente utilizzati e i banchetti sono eventi di fondamentale importanza nella vita sociale e politica del tempo. La stesse religioni fanno propri i simboli legati al cibo, basti pensare, nella religione cristiana, alla mela del peccato o al simbolismo del pane e del vino, oppure ai precetti alimentari della religione ebraica (per esempio il divieto di consumare nello stesso pasto carne e latticini) o islamica (per esempio il divieto di consumare bevande alcoliche o carne di maiale).
Nel Medioevo tutto il mondo conosciuto è preda di terribili carestie ma, nelle corti signorili, l’evoluzione gastronomica è ormai inarrestabile, tanto che, già nel 1200 si comincia a parlare di “arte della cucina”. Dal XV secolo la scoperta di nuove terre e i commerci che ne seguono ampliano notevolmente la gamma delle scelte alimentari cui contribuisce anche, soprattutto a partire dal 1600, lo sviluppo della scienza e della tecnologia.
Si giunge così, attraverso alterne vicende, ai tempi attuali, nei quali gli stili alimentari sono il risultato di una vasta serie di fattori sociali, economici, geografici, religiosi e culturali. Inoltre, a livello personale, il rapporto col cibo è mediato dalla sfera emotiva, per cui importanti motivazioni personali, di ordine psicologico o sociale, possono spesso prevalere sugli tutti gli altri fattori. Attraverso il cibo possiamo ad esempio “riempire” un vuoto esistenziale o, più semplicemente, sfuggire alla noia. Consumare del cibo in compagnia delle persone care ci dà un senso di sicurezza e di piacere: il rito del caffè con gli amici, la cena “a lume di candela”, il banchetto della festa, ne sono un tipico esempio. Anche il ricordo di sensazioni piacevoli associate al cibo influenza il modo di alimentarci: il successo dei locali ove viene proposta una cucina “casalinga” deriva probabilmente dalla nostalgia per la cucina materna (o della nonna) e dalla ricerca di gusti provati in passato e mai più ritrovati.
Due tendenze per l’alimentazione nel futuro? Nulla di promettente. Una è l’appiattimento del gusto sugli standard del “villaggio globale”, con le scelte alimentari che tendono a uniformarsi e la tradizione culinaria che diventa oggetto di ricerca quasi archeologica. L’altra riguarda la distribuzione non equilibrata delle risorse, con meno di un terzo della popolazione mondiale che vive nell’abbondanza, mentre per gran parte del genere umano mangiare è ancora una questione di sopravvivenza. Come all’inizio della nostra storia.
Per approfondimenti:
- R.W. Burkhardt — Patterns of Behavior — University of Chicago Press, 2005
- M. Montanari — Il cibo come cultura — GLF editori Laterza, 2004