Esplosione degli orti urbani
La perdita di contatto con i luoghi e le modalità di produzione del cibo è arrivata a situazioni estreme nella nostra società: soprattutto per le nuove generazioni che vivono in città, è difficile pensare da dove provengano alimenti di origine vegetale e animale, venduti impacchettati nei grandi supermercati. Negli ultimi tempi però, in seguito al radicarsi del concetto di “territorio” e alla maggiore diffusione di una coscienza ecologica, l’esigenza di riappropriarsi di queste conoscenze si sta manifestando in maniera forte, attraverso varie forme.
È sempre più frequente l’allestimento di mercati a filiera corta o a Km 0, da parte di contadini che vendono prodotti di stagione propri, coltivati nelle vicinanze. Anche in una grande città come Roma, nei mercati della fondazione Campagna Amica, patrocinata dalla Coldiretti, avviene la vendita diretta dei prodotti. Tale caratteristica rende in questi mercati i prezzi più accessibili, oltre a salvaguardare l’ambiente evitando lunghi viaggi alle merci.
La stessa fondazione ha sviluppato un progetto nazionale per organizzare quella che è diventata una vera passione, sempre più diffusa: la coltivazione degli orti urbani, definiti come appezzamenti di terreno in territorio urbano per la produzione di ortaggi e frutta per i bisogni dell’assegnatario. L’interesse nei confronti di questa attività da parte dei cittadini inesperti ha fatto nascere varie iniziative, come l’attivazione di corsi di orticoltura che riscuotono tantissimo successo.
Anche terrazzi e balconi possono essere attrezzati per la coltivazione di fiori ed erbe aromatiche, oltre a varietà di pomodori, lattuga e zucchine adatti a crescere in vaso.
Che prendano la forma di giardini condivisi, orti didattici o orti sociali, queste attività, più che per la loro rilevanza economica, sono importanti per i valori che diffondono, soprattutto nelle nuove generazioni: riqualificazione delle periferie, rispetto per la natura e le pratiche sostenibili, conservazione del paesaggio, apertura all’esperienza didattica, sana alimentazione, stagionalità del cibo, collegamento con le tradizioni culinarie del territorio, attività fisica, funzione socializzante e rilassante. A proposito di quest’ultima caratteristica, nei paesi anglosassoni la coltivazione di piccoli orti urbani è utilizzata anche come forma di terapia: la cura fornita a un essere vivente che si sviluppa fornisce stimoli e motivazioni a persone affette da depressione, ansia, stress e permette di ritrovare serenità e fiducia in sé stessi.
La coltivazione in aree densamente popolate può presentare anche problemi igienico-sanitari non trascurabili, ad esempio nel caso di vegetali che producono sostanze potenzialmente dannose, come le fave.
Ricordiamo infine che questa attività ha origini lontane nel tempo: a Roma dopo il I secolo d.C. si estese intorno all’Urbe una cintura ortofrutticola che forniva il cibo per la plebe: nelle classi più povere questa sostituiva la cerealicoltura. In epoca preindustriale gli orti si diffondevano insieme al territorio urbano ed erano utilizzati per il sostentamento delle famiglie. Anche nelle altre città europee erano diffusi orti collettivi: rilevante l’esperienza francese dei jardins ouvriers organizzati da monsignor Jules Lemire, che li utilizzò a scopo politico e morale, per combattere la piaga dell’alcolismo allora molto diffuso. In Italia nel periodo fascista si diffuse l’orticello di guerra, abbandonato per il desiderio di affrancarsi da un passato di povertà nel periodo del boom economico, in cui l’orto urbano era considerato simbolo di degrado e di condizione sociale inferiore. Il recupero in tempi recenti di questa attività ha coinvolto persone di livello culturale e sociale diverso, che ci si dedicano soprattutto per il desiderio di una maggiore consapevolezza per quanto riguarda il cibo e la sua produzione.
Per approfondimenti:
- Campagna Amica
- M. Bussolati — L’orto diffuso — Orme, 2012
- C. Petrini — Terra madre — Giunti, 2010
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