La forchetta cerca di farsi strada, ma il suo non è un successo immediato. Del cucchiaio non si può proprio fare a meno (e infatti lo usano tutti, dagli antichi egizi ai moderni cinesi), mentre la forchetta è utile, ma non indispensabile; così come i coltelli: su una tavola ne bastano un paio perché facciano il loro dovere. Il frate Bonvesin da la Riva, che nel 1288 descrive come si mangiava a Milano, ci spiega che «calici e piatti da portata erano tutti in comune: ecco perché era proibito starnutire nel piatto, ecco perché solo uno zotico avrebbe tralasciato di pulirsi la bocca prima di bere un sorso di vino. A ogni ospite veniva consegnato un cucchiaio (che era buona creanza conservare tra una portata e l’altra), ma il coltello (che non era considerato cortese rimettere nel fodero prima che tutti avessero finito di mangiare) bisognava portarselo da casa». Bonvesin non menziona le forchette a conferma che la diffusione di questa posata è legata alla pastasciutta. A Milano non si consuma pasta, quindi le forchette non servono.
Un bel saggio storico a firma di Alessandro Marzo Magno, laureato in storia veneta a Venezia, ci fa ricredere in merito alla cultura del buon cibo italiano. Pasta e pizza sono i nostri punti di forza? Sembrerebbe proprio di no leggendo Il genio del gusto. La nostra cucina è stata in grado di accogliere ingredienti da tutto il mondo e farli propri. Il libro racconta anche tante altre curiosità come l’invenzione della macchinetta per il caffè espresso e la storia della forchetta, come nacquero il Barolo e la Nutella, quando il coraggio imprenditoriale italiano era ancora pervaso da un forte spirito di innovazione e ottimismo.
Per approfondimenti:
A. Marzo Magno — Il genio del gusto — Garzanti, 2014