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La storia della lavorazione del formaggio è strettamente legata a quella del latte e alla domesticazione degli animali lattiferi, che risale alla preistoria e sembra aver percorso le seguenti tappe: prima la capra, poi la pecora, quindi la vacca, e, in situazioni locali particolari, il cavallo, il bufalo, il cammello e lo yak.
Sotto il profilo dei prodotti è verosimile che si sia iniziato a consumare prima il latte liquido, poi i latti fermentati e il burro, alimenti compatibili con uno stile di vita nomade, infine il formaggio per la cui preparazione, invece, è necessaria una situazione almeno parzialmente stanziale.
Un libro tecnico, che risponde a tutte le domande riguardanti il mondo del formaggio: dalla storia agli aspetti tecnologici e igienico-sanitari, dall’analisi sensoriale agli aspetti gastronomici, dalla legislazione alle caratteristiche nutrizionali. Può essere di valido aiuto per i professionisti, ma anche una preziosa fonte di informazioni per i consumatori appassionati.
Per approfondimenti:
G. Ottogalli — Atlante dei formaggi — Hoepli Editore, 2001
L’usanza di cucinare all’aperto ha origine antichissima: a cominciare dai popoli nomadi, tutti i paesi del mondo hanno prodotto varie forme del cosiddetto cibo di strada, preparato sul momento e venduto su bancarelle o in botteghe che si aprono sulla strada. Anche nella nostra cultura il popolo cittadino ha sempre vissuto gran parte della giornata nelle piazze, dove fervevano le attività lavorative e si radunavano le fiere e i mercati. Dalle tabernae romane, di cui sono rimaste testimonianze negli scavi di Pompei, ai venditori di cibo ambulanti del Medioevo, ogni città italiana ha sviluppato una versione locale per risolvere in modo pratico il problema della fame.
Troppo riduttivo però paragonare questo tipo di cibo al moderno fast food, originatosi in America ed esportato in tutto il mondo: il carattere locale legato alla cultura e alle attività produttive del luogo e la fattura di tipo artigianale lo differenziano profondamente dal cibo omologato che si può trovare negli asettici locali di una famosa insegna.
Passerò in rassegna la grande varietà di cibi offerta nelle regioni italiane, scusandomi per tutte quelle delizie che sicuramente non avrò nominato.
I cibi più diffusi sono le fritture, che prendono nomi diversi nelle varie città.
A Genova troviamo:
i frisceu, frittelle dolci o salate; le panizze, polenta di farina di ceci tagliata a listarelle, fritta e consumata con cipollotti, prezzemolo e olio d’oliva; i cuculli, frittelle di patate, pinoli e maggiorana, uova e parmigiano grattugiato e i cartocci di pesce.
A Napoli:
le crocchè di patate, crocchette di patate lessate e amalgamate con burro, uova, formaggi e scorza di limone grattugiata, a cui si dà la forma di palline prima di friggerle; la pasta cresciuta, pastella lievitata di acqua e farina, fritta a cucchiaiate; gli sciurilli, fiori di zucchine pastellati e fritti; gli scagliuzzi, fettine di polenta di mais soda e fritta che può essere farcita con provolone.
A Roma ci deliziano:
i filetti di baccalà, tranci di baccalà fritti dopo essere stati passati in una pastella di acqua, farina, sale e lievito di birra e i supplì di riso lessato e condito con ragù, uova battute, burro e parmigiano modellato a palle, in cui vengono inseriti pezzetti di mozzarella. Passati nella farina, uovo battuto e pan grattato sono fritti in olio d’oliva.
A Palermo abbiamo:
le arancine, grandi pallottole di riso ripiene di ragù o altro condimento, a forma sferica o piramidale impanate e fritte; i cazzilli, nome con cui sono chiamate in Sicilia le crocchette di patate; le panelle, frittelle di ceci con cui si farciscono i panini insieme ai cazzilli (altro che dieta iperproteica!).
Anche tra le focacce e le schiacchiate condite in vario modo troviamo una grande varietà:
i panzerotti e i calzoni, mezzelune di pasta di pane, sono farciti in vari modi nelle diverse aree del Sud. A Napoli con ricotta, parmigiano, mozzarella, pezzetti di salame o prosciutto; a Bari con cipolle, pomodorini, olive nere, capperi e acciughe; in Basilicata è tipico il calzone con bietole, olive nere, uvetta e peperoncino. Le tomasine, focacce tipiche di Modica (Ragusa) in cui la sfoglia sottile e rotonda, ottenuta da un impasto di semola di grano duro, acqua, lievito di birra e sale, è ripiegata fino a ottenere un rotolo allungato, spennellato con uovo battuto e cotto in forno. Il ripieno è costituito da ricotta vaccina, ragusano fresco a dadini, salsiccia, uova sode.
Le piadine romagnole, pane a forma di disco cotto sulla piastra, originariamente di terracotta refrattaria e attualmente di ghisa, che accompagna prosciutto, lardo, formaggio o salsiccia. Gli sfincioni palermitani, piccole pizze quadrate leggere, condite con cipolla, formaggio, origano e olive. La puccia, pagnotta piatta e poco lievitata, prodotta nel bellunese e composta prevalentemente da farina di segale e, in minor quantità, da farina di grano tenero, aromatizzata con cumino, finocchio o zigoinr, un origano selvatico locale. La pizza a libretto, così chiamata per l’usanza partenopea risalente al seicento di consumare la pizza piegata in quattro. Le farinate liguri, sottili focacce di farina di ceci, acqua e olio di oliva, insaporite con rosmarino. Le schiacciate toscane dolci o salate, con i friccioli.
Non mancano le frattaglie e le carni bollite, servite da sole o nel panino:
il lampredotto, nome dato in Toscana all’abomaso del bovino, tipico piatto fiorentino venduto in strada nel panino; la carnacotta, diffusa nel napoletano, comprende frattaglie, trippa, muso di vitellone, testina di agnello e di maiale. Il pani cà meusa, piatto della tradizione palermitana venduto nei mercati come Ballarò e Vucciria. Si tratta di un panino farcito con fette di polmone e milza di vitello bollite e scaldate in tegame con lo strutto. Può essere semplicemente condito con limone, o nella versione maritata, arricchito con caciocavallo. Il quarume, visceri di bovino cotti nel brodo con verdure che li insaporiscono. L’insalata di musso e carcagnola, preparata con il muso di manzo e la cartilagine del piede (nervetti) insaporita con carote, sedano, olio, aceto e sale. Piatto tipico della cucina siciliana.
E infine pesci e molluschi:
ricordiamo il polpo bollito, venduto al mercato della Vucciria e, nei chioschetti di Padova, i folpeti, moscardini lessati in acqua con alloro e succo di limone, tagliati a pezzi e conditi con prezzemolo, sale e pepe.
Per approfondimenti:
P. Gho — Dizionario delle cucine regionali italiane — Slow food editore, 2010
Pubblichiamo oggi il contributo della dottoressa Livia Diotallevi, Biologo Nutrizionista, sull’alimentazione in menopausa.
Tra i 45 e i 55 anni inizia una nuova fase nella vita di una donna: la menopausa.
Si tratta di un periodo particolarmente delicato che consiste nella progressiva diminuzione della produzione di estrogeni che comporta l’arresto delle mestruazioni e sancisce la fine dell’età fertile.
La donna si trova ad affrontare la menopausa sia dal punto di vista psicologico, perché deve accettare la fine del periodo fertile, sia fisicamente, con i numerosi effetti collaterali che la caduta di estrogeni determina.
Tra gli effetti indesiderati, ma comunque risolvibili non appena l’organismo si sarà adattato alla nuova situazione ormonale, ci sono le vampate ovvero bruschi aumenti di temperatura corporea con palpitazioni e sudorazione, incontinenza notturna, sbalzi d’umore improvvisi, difficoltà nel dormire, cefalea e possibile caduta di capelli.
Altri cambiamenti, invece, sono duraturi e riguardano modificazioni a carico degli organi genitali con secchezza e prurito che possono creare fastidi durante i rapporti sessuali.
E poi ci sono i cambiamenti del metabolismo corporeo.
La demineralizzazione ossea, che già aumenta normalmente con l’età, con la menopausa si accentua rendendo le ossa più fragili e più esposte a rischi di fratture.
Nel caso dell’osteoporosi è fondamentale la prevenzione: durante il periodo giovanile, e fino ai 40 anni circa, l’organismo immagazzina nel tessuto osseo la maggior quantità possibile di calcio. Se si è seguita, quindi, una dieta corretta con il giusto apporto nutrizionale di calcio, la donna potrà affrontare più tranquillamente la menopausa durante la quale l’aumento della demineralizzazione si accompagna, purtroppo, a un ridotto assorbimento di calcio. Ecco perché il fabbisogno giornaliero di calcio aumenta passando da 800 mg per le donne in età fertile a 1200-1500 mg per le donne in menopausa.
Con la menopausa aumentano i rischi cardiovascolari: la presenza di estrogeni nell’età fertile protegge le donne da problemi cardiovascolari controllando i meccanismi di vasodilatazione dei grossi vasi e mantenendo a livelli più elevati il colesterolo HDL. Con l’arrivo della menopausa si ha una variazione dell’assetto lipidico con aumento di colesterolo e trigliceridi, così che la probabilità di infarto o di altre patologie cardiovascolari diventa paragonabile a quella dell’uomo ed è circa quattro volte superiore a quella di donne in età fertile.
La diminuzione di estrogeni determina un rallentamento del metabolismo con aumento di massa grassa (soprattutto a livello di addome, fianchi e glutei) e una diminuzione della massa magra.
Un’alimentazione corretta ed equilibrata può senz’altro aiutare a migliorare alcuni disturbi legati alla menopausa e a ridurre il rischio di eventuali patologie (malattie coronariche, osteoporosi, tumori…). È indispensabile seguire una dieta il più varia possibile, in cui sia privilegiato il consumo di cereali, frutta fresca e ortaggi, pesce e carni bianche (da preferire alle carni rosse), olio extravergine di oliva come condimento e latte meglio se parzialmente scremato. Per quanto riguarda i formaggi è bene tenere in considerazione che sono sì ricchi di calcio ma anche di acidi grassi saturi e non bisogna esagerare con il loro consumo: meglio scegliere quelli freschi e con minor contenuto di grassi e sale.
Per prevenire l’insorgenza dei disturbi legati alla menopausa si può ricorrere a terapie ormonali di sostituzione oppure può essere d’aiuto l’utilizzo di fitoestrogeni, ossia di sostanze di origine vegetale ad azione simil-estrogenica.
I fitoestrogeni sono contenuti in molti tipi di frutta e verdura, nei legumi e in special modo nella soia e gli effetti migliori si hanno utilizzando alimenti freschi e di diversi tipi piuttosto che ricorrendo a integratori. I benefici derivanti dall’assunzione dei fitoestrogeni sono confermati da diversi studi condotti su donne che hanno iniziato il trattamento in premenopausa e nelle quali si è osservata, una volta entrate in menopausa, una minore insorgenza dei tipici disturbi. D’altra parte uno studio clinico condotto nel 2004 ha dimostrato, invece, come l’impiego di fitoestrogeni in donne dopo i 60 anni non comporta alcun beneficio sulla funzione cognitiva, sulla densità minerale ossea o sui lipidi plasmatici.
Nelle donne in menopausa deve essere anche tenuto sotto controllo l’introito giornaliero di calorie perché in questo periodo della vita si ha un rallentamento del metabolismo e una minore richiesta di energia. È necessario praticare attività fisica anche leggera come yoga o fare delle passeggiate: questo permette di combattere lo stress, la depressione e stando all’aria aperta al sole si favorisce anche la produzione di vitamina D fondamentale per l’assorbimento del calcio.
Sovrappeso e sedentarietà, fumo, eccesso di alcol e caffè sono importanti fattori di rischio soprattutto per l’osteoporosi.
Fonti:
Non è facile ripercorrere in modo esauriente la storia del formaggio in quanto le fonti a cui far riferimento sono limitate; per risalirne le tappe bisogna ripercorrere dalla preistoria l’evolversi della lavorazione del latte e dell’allevamento di animali lattiferi (dalla capra alla mucca).
Inizialmente i nostri antenati hanno iniziato con il consumare latte, poi sono passati al burro e ai latti fermentati, ancora compatibili con uno stile di vita nomade. Il formaggio è invece arrivato successivamente, in quanto la sua trasformazione richiede una situazione almeno in parte stanziale.
Dato che si tratta di prodotti completamente degradabili non è stato possibile trovarne dei reperti; tuttavia le prime notizie indirette sono arrivate attraverso il ritrovamento di utensili di terracotta forati, usati per lasciar sgocciolare il siero e trattenere la cagliata, risalenti indicativamente al 6000 a.C.
Per avere informazioni documentate bisogna arrivare alle grandi civiltà del mondo antico.
Il documento più antico che testimonia le fasi della lavorazione del latte è il Fregio della latteria, un bassorilievo sumero risalente all’incirca al 3000 a.C.
In Egitto, nella tomba del faraone Horus Aha (2800 a.C.), furono ritrovati vasi contenenti resti di formaggio (un raro caso in cui un reperto si è mantenuto così a lungo nel tempo).
Nella Bibbia si parla di latte sia come simbolo che come alimento; nella Genesi viene citato il latte fermentato acido, offerto da Abramo ai tre angeli.
È in Grecia che le testimonianze iniziano a moltiplicarsi. Nella Batracomiomachia i topi vengono chiamati “Scavaformaggio” e “Rubatocchi”. Il formaggio viene citato da Omero e da Aristotele. Ippocrate ne elogia le proprietà nutrienti in una delle opere del Corpus Hippocraticum dedicata alla dieta mentre Platone, ne La Repubblica, descrive un regime alimentare in cui il formaggio è l’alimento base.
Nel mondo Romano, indipendentemente dalla classe sociale, il latte e i suoi derivati rappresentavano una parte importante del sostentamento ed erano presenti in almeno due dei tre pasti giornalieri (chiamati ientaculum, prandium e coena). Anche la razione dei soldati prevedeva, oltre a 800 grammi di pane e 100 grammi di carne, anche 30 grammi di formaggio (cacium se fresco e formaticum se stagionato). Ecco alcune ricette dell’epoca, citate da numerosi scrittori e poeti:
Le citazioni sarebbero davvero moltissime ma per concludere con i Romani riporto che Plauto usava nelle sue commedie dei nomignoli affettuosi come “meus molliculus caseus”, che ai nostri giorni suonerebbe come “mio tenero formaggino”.
Dal Medioevo al mondo moderno le tecnologie utilizzate per la produzione casearia si sono profondamente evolute. Nell’Europa medioevale nascono il Roquefort e il Brie in Francia, il Gorgonzola, il Taleggio, il Parmigiano (citato da Boccaccio) e il Caciocavallo in Italia; l’Emmental, il Gruyère e l’Appenzeller in Svizzera e infine il Gouda in Olanda e il Cheddar e il Chester in Inghilterra.
È nel Rinascimento, quando la produzione del formaggio inizia a essere effettuata in vere e proprie aziende, che compaiono i primi trattati sull’arte casearia come la Summa lacticiniorum un trattato sui latticini scritto nel 1477 dal medico Pantaleone da Confienza.
Dal XVIII secolo in poi, con lo sviluppo della scienza sperimentale, le tecniche in uso nel settore lattiero-caseario hanno una notevole evoluzione. Contemporaneamente inizia a nascere l’interesse per la composizione chimica e per le proprietà nutrizionali.
Il latte viene anche studiato dal punto di vista microbiologico, identificando quei microrganismi che possono essere dannosi per l’uomo oppure utili per la fabbricazione dei formaggi e di pari passo vengono perfezionate le procedure igieniche per ottenere prodotti buoni dal punto di vista organolettico e insieme microbiologicamente sicuri.
Dal punto di vista gastronomico i formaggi costituiscono un prezioso ingrediente per molte preparazioni occupando un po’ tutti i posti a tavola, a partire dall’antipasto fino al dessert.
Fonte:
G. Ottogalli — Atlante dei formaggi — Hoepli Editore, 2001
La Scuola di Ancel
Nutrizione Informazione Prevenzione
Quotidiano online a carattere scientifico
Autorizzazione del tribunale di Roma n. 290/2013 del 12 dicembre 2013
by Luca Belli, Francesco Bonucci, Roberto Casaccia, Mariarosa Di Lella, Elisabetta Iafrate, Laura Imperadori, Rosa Lenoci, Eliana Marchese, Dario Padovan, Giuliano Parpaglioni, Tiziana Stallone (authors), Gianluigi Marabotti (designer)
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