Ora si parla tanto spesso di globalizzazione alimentare, come se fosse un nuovo problema, senza pensare che molti degli alimenti abituali sono “comparsi dal nulla” nella nostra cultura dopo la scoperta dell’America.
In questo caso vengono sviscerati i retroscena etici, medici e teologici dell’introduzione della cioccolata.
Queste nuove bevande calde come cioccolata, caffè e tè hanno costretto i medici a domandarsi quale ruolo potevano avere nella dieta e i teologi a domandarsi se potevano essere equiparate all’acqua e al vino, cioè essere considerate semplicemente bevande, o dovevano essere considerate alimenti, e quindi dovevano essere vietate nei giorni in cui era prescritto il digiuno.
La discussione sulla cioccolata ha coinvolto un’infinità di competenze, si è protratta per oltre un secolo e ha coinvolto studi di teologia morale (bere cioccolata è un vizio? è un lusso dei ricchi?), chimica degli alimenti (contiene grassi?), cucina (come viene preparata? a differenza di tè e caffè viene addizionata con latte, miele o altri ingredienti?), antropologia (com’è utilizzata nei posti da cui proviene? come pasto o come bevanda? e in quali occasioni? ha un ruolo sacro?), medicina (a chi deve essere consigliata?) e ovviamente dietetica (è nutriente e perché?).
Per avere un’idea del clima in cui si svolge la disputa sulla cioccolata dobbiamo ricordare che Il malato immaginario di Molière andò in scena nel 1673. La medicina dell’epoca, ippocratica, era strettamente collegata alla dietetica e al regime di salute, perciò per i medici la cioccolata era sia un farmaco per curare una malattia sia un aiuto per mantenersi sani e per la digestione. Per esempio, l’uso delle droghe e delle spezie aveva una funzione medica, perché serviva a correggere le qualità dei cibi e non aveva alcuna funzione in merito al gusto. Solo nella Francia del Seicento il medico iniziò ad allontanarsi dalla cucina, che divenne il regno dei grandi chef. Gli alimenti erano distinti in base alle quattro qualità primarie (caldo, umido, freddo, secco), che davano origine ai quattro elementi fondamentali (aria, acqua, terra, fuoco), i quali a loro volta caratterizzavano i quattro umori dell’uomo (sanguigno, flemmatico, malinconico, collerico).
Con la teoria galenica degli umori si cura attraverso i “contrari” per ristabilire l’equilibrio, perciò il cibo, in base alle sue qualità, richiede dosi diverse a seconda delle qualità del consumatore. Naturalmente non era facile stabilire la qualità di un alimento. Per quelli tradizionali esistevano già le etichette basate sull’autorità degli antichi e di Galeno, ma per i nuovi alimenti che arrivavano dalle colonie occorreva un’autorità che decidesse. Il metodo era, semplicemente, assaggiare il prodotto, ma poi il giudizio variava: per qualcuno il cacao era freddo al secondo grado, per altri al terzo o al quarto; invece qualcuno lo riteneva caldo al terzo grado e qualcun altro semplicemente temperato. Il medico Juan de Barrios pubblica nel 1609 il primo libro esplicitamente dedicato alla cioccolata che considera una delle bevande più sane; però, tenendo conto della dottrina dei quattro temperamenti, è necessario che per ogni individuo ci sia una ricetta appropriata e ne prescrive una per i sanguigni, una per i flemmatici e una per i melanconici.
Per approfondimenti:
C. Balzaretti — La cioccolata cattolica — EDB, 2014