Che il gusto sia un’esperienza multisensoriale è ormai scientificamente provato. Ma qual è il rapporto tra gusto ed emozioni? Il gusto è anche un’esperienza emozionale? Per rispondere al quesito dobbiamo osservare un pochino più a fondo l’anatomia del cervello umano. Qui possiamo individuare tre principali formazioni anatomiche e funzionali che si sono sovrapposte e integrate nel corso dell’evoluzione:
- Il cervello rettiliano è quello più antico e presiede alle forme di comportamento stabilite geneticamente e finalizzate all’autoconservazione.
- Il sistema limbico che inizia a comparire evolutivamente nei mammiferi. È la sede delle attività primarie correlate con la memoria breve, il comportamento alimentare, il comportamento sessuale, le emozioni e i sentimenti.
- La neocorteccia è la parte filogeneticamente più recente. È sede del pensiero cosciente, dell’autocoscienza, della percezione dello spazio-tempo e del linguaggio.
Soffermiamoci per un attimo sul sistema limbico. Esso è costituito da una serie di formazioni, tra cui l’ippocampo, l’amigdala, parte dell’ipotalamo (l’area del cervello maggiormente implicata nella regolazione dell’equilibrio fame-sazietà) e parte del talamo. Molte di queste sono coinvolte nella sensazione gustativa. L’amigdala, in particolare, la parte del cervello che gestisce le emozioni e la memoria emozionale, svolge un ruolo di primo piano.
Torniamo ora a quanto recepito all’interno della cavità orale: il segnale trasmesso alla corteccia cerebrale, la parte consapevole del cervello, viene contemporaneamente comunicato anche al sistema limbico, che ne rappresenta la parte inconsapevole. Le sensazioni olfattive, addirittura, tramite il bulbo olfattivo, raggiungono il sistema limbico in modo diretto.
Gusto ed emozioni hanno pertanto un collegamento, anche anatomico, molto molto stretto: scrittori e poeti ce lo confermano.
«Al primo boccone si sentì ringiovanire di quarant’anni, tornò picciliddro, era il pane come glielo conzava sua nonna», così ci racconta Andrea Camilleri. Chi non conserva per tutta la vita il richiamo dei sapori dell’infanzia o di quei cibi che evocano l’atmosfera di ricorrenze e festività?
«Sapore di sale, sapore di mare, un gusto un po’ amaro di cose perdute» canta Gino Paoli a ricordarci che un profumo o un sapore possono anche evocare il rimpianto di situazioni, di attimi, di persone che non torneranno più. Un particolare sapore, e ancor più un profumo, possono far emergere un flusso di ricordi.
Nella letteratura scientifica questo viene definito come fenomeno di Proust. Ecco come lo scrittore francese descrive il momento in cui riesce ad afferrare, nei recessi della memoria, un piacevole ricordo della sua infanzia a Combray (Illiers).
Ma, quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edificio del ricordo. E, appena ebbi riconosciuto il sapore del pezzetto di madeleine inzuppato nel tiglio che mi dava la zia (pur ignorando sempre e dovendo rimandare a molto più tardi la scoperta della ragione per cui questo ricordo mi rendesse così felice), subito la vecchia casa grigia sulla strada, nella quale era la sua stanza, si adattò come uno scenario di teatro al piccolo padiglione sul giardino, dietro di essa, costruito per i miei genitori (il lato tronco che solo avevo riveduto fin allora); e con la casa la città, la piazza dove mi mandavano prima di colazione, le vie dove andavo in escursione dalla mattina alla sera e con tutti i tempi, le passeggiate che si facevano se il tempo era bello. E come in quel gioco in cui i Giapponesi si divertono a immergere in una scodella di porcellana piena d’acqua dei pezzetti di carta fin allora indistinti che, appena immersi, si distendono, prendono contorno, si colorano, si differenziano, diventano fiori, case, figure umane consistenti e riconoscibili, così ora tutti i fiori del nostro giardino e quelli del parco di Swann, e le ninfee della Vivonne e la buona gente del villaggio e le loro casette e la chiesa e tutta Combray e i suoi dintorni, tutto quello che vien prendendo forma e solidità, è sorto, città e giardini, dalla mia tazza di tè.
E ancora, da sempre il gusto è associato a qualcosa di peccaminoso, in grado di risvegliare i sensi. Dice il Marchese de Sade: «Non conosco nulla che vellichi così voluttuosamente lo stomaco e la testa quanto i vapori di quei piatti saporiti che vanno ad accarezzare la mente preparandola alla lussuria». Del resto, non dobbiamo dimenticare che, biologicamente, il piacere è lo stratagemma inventato dall’evoluzione per indurre gli esseri viventi a compiere le azioni più adatte alla propria sopravvivenza: mangiare e riprodursi, innanzitutto.
E, per concludere, non è con il bacio che scopriamo il sapore della persona amata?
Questa è Alda Merini: «Beati coloro che si baceranno sempre al di là delle labbra, varcando i confini del piacere per cibarsi dei sogni».
Per approfondimenti:
- P. D. MacLean — Evoluzione del cervello e comportamento umano — Einaudi, 1984
- A. Camilleri — La voce del violino — Sellerio, 1997
- G. Paoli — Sapore di sale — RCA italiana, 1963
- M. Proust — La strada di Swann — Einaudi, 2005
- A. Merini — Clinica dell’abbandono — Einaudi, 2004
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