Pubblichiamo oggi il contributo del dottor Gian Luca Farina sulle malattie croniche intestinali
Con il termine malattie infiammatorie croniche intestinali (Inflammatory Bowel Disease — IBD) si indicano la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa, condizioni caratterizzate da un processo infiammatorio cronico intestinale a eziologia sconosciuta. Tuttavia le attuali evidenze indicano che la patogenesi del danno tissutale sia correlata con un’alterata regolazione della risposta immunitaria mucosale nei confronti di stimoli altrimenti normali.
Le IBD sono diffuse in tutto il mondo e raggiungono la massima frequenza nei paesi a maggior sviluppo socioeconomico quali il Nord Europa e l’America settentrionale, mentre sono molto rare nel terzo mondo, suggerendo il ruolo importante dei fattori ambientali nella loro patogenesi.
Il fumo di sigaretta è un fattore di rischio che si associa alle malattie infiammatorie dell’intestino con modalità diversa: rappresenta l’unico fattore ambientale che tutti gli studi clinici concordemente indicano essere associato alla malattia di Crohn. Nei fumatori il rischio relativo è compreso tra 2,5 e 3 e l’abitudine al fumo si associa a un decorso più severo di malattia, a una maggiore frequenza di ricoveri ospedalieri e di interventi di resezione. Differentemente, la rettocolite ulcerosa è più frequente nei non fumatori, in particolare negli ex-fumatori, con un rischio relativo tra 0,5 e 0,7.
La pregressa appendicectomia è frequente nei pazienti con malattia di Crohn, mentre la rettocolite ulcerosa è più frequente nei soggetti non appendicectomizzati. Sono stati riportati anche altri fattori di rischio (uso di contraccettivi orali, dieta ricca di grassi e povera di scorie), sebbene per nessuno sia ancora stata dimostrata un’associazione diretta con lo sviluppo della malattia. Dati epidemiologici indicano anche un ruolo dei fattori genetici: i parenti di primo grado dei pazienti affetti presentano un rischio di sviluppare IBD da 4 a 20 volte più elevato rispetto alla popolazione di controllo.
Le lesioni associate alla malattia di Crohn possono interessare qualsiasi tratto del canale alimentare, determinando lo sviluppo di un ampio spettro di sintomi. La malattia deve il nome al gastroenterologo che per primo, nel 1932, descrisse lo sviluppo di una ileite terminale, mentre solo successivamente è stato descritto il possibile interessamento del colon. Per questo motivo, fu inizialmente chiamata ileite regionale ma, in seguito alla descrizione di numerosi casi, divenne evidente che la localizzazione ileale è preponderante ma non esclusiva e pertanto fu ribattezzata in onore del più importante fra gli scopritori.
La malattia di Crohn è caratterizzata da una significativa variabilità anatomica e clinica con un decorso cronico intermittente, caratterizzato da periodi di remissione e di riaccensione. Le lesioni, caratterizzate dalla presenza di flogosi cronica granulomatosa transmurale, mostrano una caratteristica distribuzione segmentaria, con aree lese di tipo fibrostenosante, fistolizzante o infiammatorio con possibilità di evolvere nell’uno o nell’altro tipo nel corso della malattia. La persistenza della flogosi, indipendente dalla presenza di sintomi, è alla base delle lunghe fasi subcliniche che possono precedere e seguire fasi di attività clinica conclamata. Vi è una marcata tendenza alla recidiva post-chirurgica ed alla scarsa tendenza alla guarigione spontanea delle lesioni.
Le lesioni secondarie alla rettocolite ulcerosa, invece, interessano prevalentemente il retto, potendosi estendere per contiguità fino al cieco. Il sanguinamento rettale è il sintomo caratteristico, associato spesso al tenesmo. Il quadro clinico è condizionato dalla variabile progressione delle lesioni, dalla loro entità e severità. La malattia presenta, in oltre il 75% dei casi, un decorso intermittente caratterizzato da fasi di riacutizzazione alternate a fasi anche lunghe di remissione spontanea o indotta da terapia medica, generalmente associate alla concomitante remissione delle lesioni infiammatorie attive.
Molti regimi terapeutici si sono dimostrati efficaci nelle malattie in fase attiva e hanno come obiettivo possibile il prolungamento dello stato di remissione con un basso livello di tossicità, migliorando la qualità della vita e mantenendo uno stato nutrizionale adeguato. Esiste uno stretto legame tra nutrizione e malattie infiammatorie croniche intestinali: sebbene non ci siano chiare dimostrazioni che i fattori dietetici giochino un ruolo causale nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, l’esclusione di cibi capaci di provocare i sintomi sembrerebbe essere efficace nel mantenere in remissione i pazienti.
La malnutrizione calorico proteica è comune ed è causata da numerosi fattori che possono agire anche in modo combinato. L’entità dipende dal tipo, dalla sede e dall’estensione della malattia. I principali fattori in causa sono la diminuzione degli apporti alimentari per anoressia, dolore, nausea, vomito, alterazioni del gusto, riduzione della superficie assorbente, aumentate perdite intestinali, aumentate richieste energetiche per febbre, fistole, infezioni, terapie e interazione dei nutrienti con i farmaci. È importante ricordare, a tal proposito, che alcuni farmaci possono interferire con l’assorbimento di folati, grassi, vitamine liposolubili e sali minerali. I fabbisogni energetici devono essere individualizzati in base all’esito della valutazione dello stato nutrizionale e alla tollerabilità del paziente. Particolari indicazioni dietetiche, o modificazioni nella consistenza degli alimenti assunti, sono proposte in caso di malattia in fase di attività acuta: è indicata una dieta a basso contenuto di fibre e senza gli alimenti contenenti lattosio per ridurre l’attività peristaltica e i fenomeni osmotici intestinali che peggiorano la sintomatologia addominale. Tuttavia la prolungata restrizione delle fibre dietetiche non risulta vantaggiosa sull’evoluzione clinica della malattia e perciò è auspicabile la graduale reintroduzione dei vegetali non appena la situazione clinica lo permette.
Supplementazioni vitaminico-minerali (in particolare ferro, vitamina B12 e B9) sono frequentemente opportune a causa del malassorbimento, delle perdite specifiche, dei ridotti introiti e degli aumentati fabbisogni dovuti all’infiammazione e/o alla terapia farmacologica.
Durante la fase acuta della malattia, per la gravità dei sintomi o la comparsa di uno stato occlusivo, potrebbe essere necessario sospendere l’alimentazione orale a favore di quella parenterale, indicata anche in presenza di fistole o nei pazienti con rettocolite ulcerosa attiva che necessitano di riposo sintomatologico. I pazienti in remissione da malattia dovrebbero invece essere incoraggiati ad assumere una dieta simile a quella dei soggetti sani, con inclusione di porzioni di vegetali e frutta e ad abbandonare restrizioni alimentari non giustificate che possono contribuire allo stato di malnutrizione.
Per approfondimenti:
- Binetti P, Marcelli M, Baisi R — Manuale di nutrizione clinica e scienze dietetiche applicate — SEU, 2012
- Coordinamento Nazionale Docenti Universitari di Gastroenterologia — Manuale di gastroenterologia. Unigastro 2013-2015 — Editrice Gastroenterologica Italiana