Pubblichiamo oggi l’articolo della dottoressa Grazia Rossi, Biologo Nutrizionista, che ci scrive la seconda parte dell’articolo sulla bufala campana DOP
Continuiamo oggi il nostro viaggio alla scoperta della mozzarella di bufala campana DOP. Ma cosa significa “DOP”?
Il marchio DOP sta a indicare un prodotto alimentare di Denominazione di Origine Protetta che, dagli anni novanta, è una garanzia per il consumatore e specifica l’area geografica in cui viene prodotta la mozzarella, ottenuta solo da materie prime provenienti da specifici luoghi di origine, individuati nei poderi dell’Agro dei Mazzoni, dell’Agro Aversano (entrambi in provincia di Caserta), della Piana del Sele (in provincia di Salerno), dell’Agro Pontino (Basso Lazio) o di alcuni territori in provincia di Foggia.
Vi invito a visitare, se ne avrete l’occasione, un caseificio artigianale in cui assistere alla lavorazione della pasta filata, bianca perla morbida ed elastica che, come per magia, piano piano prende forma e corpo, grazie alle abili mani del mastro casaro che coniuga antichi segreti, saperi tradizionali e moderna tecnologia.
Il mio consiglio è quello di seguire l’intero procedimento di lavorazione artigianale della mozzarella di bufala, secondo i dettami del severo Disciplinare di produzione, partendo di buon mattino alla volta di uno dei paesi dei territori di produzione per vivere un’esperienza unica ed entusiasmante.
Ecco in breve il processo di lavorazione.
Filtrazione e formazione della cagliata Dopo il filtraggio del latte fresco di bufala appena munto, si aggiunge sieroinnesto naturale (caglio, liquido di vitello generalmente di titolo 1:10000) in modo da ottenere la coagulazione che avviene a una temperatura ottimale tra 34°C e 38°C per immissione diretta di vapore. Il latte è così trasformato in una massa compatta detta cagliata la quale prima viene ridotta in granuli della grandezza di una noce con strumenti caratteristici (falcetto con manico di legno), poi viene lasciata ad acidificare sotto siero mediamente quattro ore. |
Filatura Il giusto grado di maturazione della cagliata, ridotta in pezzi, si stabilisce attraverso il saggio empirico di filatura: circa 100 g di pasta matura vengono fusi in acqua calda, la pasta fusa viene posta su un bastoncino e tirata con le mani; se la pasta si allunga in filamenti continui di lunghezza superiore a un metro, senza spezzarsi, si può considerare pronta. Nella fase della filatura, la pasta viene tagliata in fette sottili e posta in un tino d’acciaio (in passato di legno) nel quale viene fusa per aggiunta di acqua bollente. |
Formatura Particolarmente scenografica è la formatura della mozzarella che viene effettuata manualmente, da due bravi casari, di cui uno mozza con il pollice e l’indice dei pezzi di pasta filata da una massa globosa di circa 2-3 kg, sostenuta dall’altro. |
La pasta viene lavorata con molta cura (direi con amore) ed esperienza eseguendo dei movimenti caratteristici che si concludono con la creazione finale di mozzarelle calde e profumate, di peso diverso e tutte uniche e originali come la tradizionale “treccia”, ottenuta esclusivamente a mano, intrecciando con maestria un segmento di pasta filata. |
Salatura La fase finale della salatura viene realizzata generalmente immergendo la mozzarella in soluzioni saline a diversa concentrazione, tipicamente con un contenuto di sale che varia dal 10 al 18%. La durata dell’operazione varia da caseificio a caseificio e influisce sulle caratteristiche organolettiche del prodotto finale. |
Per avermi gentilmente permesso di assistere al processo di lavorazione della mozzarella e di scattare le foto di questo articolo, ringrazio di cuore il Caseificio artigianale Elledy di Emerito Danilo &C snc, Via Provinciale per Mondragone, 30 – località S. Andrea del Pizzone – 81050 Francolise (CE).
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