Per preparare un esame universitario particolarmente ostico, in un’estate molto calda e afosa, ero arrivata a bere — a mia giustificazione inconsapevolmente — nove caffè al giorno. Superato l’esame, dopo una bella dormita, mi sono accorta di non riuscire ad alzarmi dal letto per il mal di testa. Ho scoperto negli anni successivi che si trattava di uno degli effetti provocati dall’interruzione improvvisa dell’assunzione di caffeina, insieme all’affaticamento, all’alterazione dell’umore e alla difficoltà di concentrarsi.
La caffeina è infatti considerata la droga più comunemente utilizzata nel mondo, e come tutte le altre droghe comporta assuefazione, dipendenza e crisi di astinenza. Stiamo parlando semplicemente della caffeina contenuta negli alimenti, non di quella assunta, in modo più o meno lecito, come farmaco o ingrediente di integratori con lo scopo di migliorare alcune prestazioni.
I bevitori abituali di caffè hanno spesso provato l’esperienza della necessità di aumentare il numero di tazzine consumate per ottenere un maggiore effetto stimolante o comunque per avere lo stesso effetto nel tempo, a meno che non intervengano periodi di interruzione (come il fine settimana, le feste, un cambio di orario favorevole…). È stato questo effetto di progressiva tolleranza e quindi inefficacia che mi ha portato a quel numero di caffè, sottolineo ancora inconsapevolmente e temporaneamente. È chiaro che se la necessità non fosse stata legata a una scadenza, ma a uno stile di vita, si sarebbe potuta creare una condizione di dipendenza, considerata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Salute -WHO) una patologia mentale.
Ma perché la caffeina provoca questi effetti? E soprattutto perché non mi sono accorta prima che stavo esagerando?
La spiegazione sta nel modo con cui viene trasformata (metabolismo) e distribuita nell’organismo (biodisponibilità), quali organi raggiunge (distribuzione) e con quali componenti interagisce (attività farmacologica). La faccio breve: la caffeina viene assimilata velocemente e raggiunge il fegato, dove viene trasformata più o meno completamente da enzimi epatici detti citocromi P450 (1A1, 1A2, 2A6, 2C9) in sostanze molto simili (paraxantina, teobromina e teofillina). La caffeina residua e i suoi metaboliti raggiungono in seguito il sistema nervoso centrale, (SNC) dove agiscono da antagonisti su alcuni recettori (recettori per l’adenosina detti di tipo A1 e A2A ) che normalmente, tra le altre cose, influenzano il rilascio di una sostanza detta dopamina, nota per essere liberata in presenza di droghe come anfetamina e cocaina. L’effetto stimolante, l’aumento di ansietà e di eccitazione è dovuto proprio all’interazione con questi recettori.
Questi passaggi, che ho estremamente riassunto, spiegano perché ci sono persone che possono bere caffè senza problemi e quelli che al secondo caffè passano una notte insonne. Tutto dipende dalla differenza genetica dei citocromi (che possono essere più o meno rapidi nel distruggere la caffeina) e dei recettori (che possono legare più facilmente la caffeina o il suo metabolita principale – paraxantina), dalla localizzazione di questi ultimi in aree del SNC in cui stimolano attività diverse, dalla loro capacità di modificarsi in modo da diminuire la possibilità di interagire con alcune sostanze. Insomma, le variabili in gioco sono numerose e, anche se avesse senso individuare un test genetico che identifica i soggetti sensibili alla caffeina, andrebbero incrociati i risultati di numerosi geni e soprattutto ci darebbe la foto di un momento, ma non ci darebbe la possibilità di capire come si può modificare negli anni.
La comprensione di questi meccanismi però ci dà molte altre utili informazioni.
La prima è che, a differenza di quanto pensino in molti, la caffeina non ha la capacità di bruciare meglio le calorie. L’EFSA (European Food Safety Authority) ha dato un giudizio molto chiaro a questo proposito: alla stato attuale degli studi, non è possibile dichiarare che i prodotti contenti caffeina aumentano l’ossidazione dei grassi, portando a una riduzione della massa grassa o che aumentano il consumo energetico portando a una riduzione del peso corporeo.
In secondo luogo sono stati riconosciuti soggetti che hanno una particolare variante del gene che codifica uno dei citocromi coinvolti (polimorfismo del CYP1A2) che determina un maggiore rischio di ipertensione e infarto cardiaco. Queste persone sono quasi sempre capaci di riconoscere da sole gli effetti negativi dell’assunzione di caffè, come ansia, nervosismo, alterazioni della pressione e quindi, istintivamente, di moderarne il consumo.
Infine il sistema della dopamina, una sostanza liberata da neuroni specifici, è coinvolto nello sviluppo del morbo di Parkinson, spiegando, anche se non completamente, il motivo per cui sembra che la regolare assunzione di caffè in soggetti a rischio o nelle prime fasi della malattia, potrebbe rallentarne lo sviluppo. Si tratta ancora di un’ipotesi di ricerca i cui risultati devono essere confermati.
L’avreste detto che una tazzina di caffè è così complessa? Ma non è finita qui!
Per approfondimenti:
- Meredith, S. E, et al. – Caffeine Use Disorder: A Comprehensive Review and Research Agenda – Caffeine Res. 2013 September; 3(3): 114–130. doi: 10.1089/jcr.2013.0016
- Morelli M, et al. – Pathophysiological roles for purines: adenosine, caffeine and urate – Prog Brain Res. 2010; 183: 183–208. doi: 10.1016/S0079-6123(10)83010-9
- Higdon JV, Frei B — Coffee and health: a review of recent human research — Crit Rev Food Sci Nutr. 2006;46(2):101-23. doi:10.1080/10408390500400009
- Yang A, et al. – Genetics of caffeine consumption and responses to caffeine – Psychopharmacology (Berl). 2010 August; 211(3): 245–257.doi: 10.1007/s00213-010-1900-1
- Orrú M, et al. – Psychostimulant pharmacological profile of paraxanthine, the main metabolite of caffeine in humans – Neuropharmacology. 2013 April; 67C: 476–484. doi: 10.1016/j.neuropharm.2012.11.029
- WHO (World Health Organization) – International Classification of Diseases (ICD)
- EFSA (European Food Safety Authority) – Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (NDA); Scientific Opinion on the substantiation of health claims related to caffeine and increased fat oxidation leading to a reduction in body fat mass (ID 735, 1484), increased energy expenditure leading to a reduction in body weight (ID 1487), increased alertness (ID 736, 1101, 1187, 1485, 1491, 2063, 2103) and increased attention (ID 736, 1485, 1491, 2375) pursuant to Article 13(1) of Regulation (EC) No 1924/2006 – EFSA Journal 2011; 9(4):2054. [29 pp.]. doi:10.2903/j.efsa.2011.2054. www.efsa.europa.eu/efsajournal
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