Giochiamo in continuazione a modificare la nostra immagine corporea. Tutti i mezzi sono buoni: l’alcol modifica la localizzazione del peso del corpo e in seguito dà la sensazione di avere la testa più grande. La forza centrifuga e l’accelerazione brusca, in macchina o sulle giostre di un luna park, contribuiscono a modificare la nostra percezione corporea. Così come succede con il movimento e lo sforzo muscolare. Ci percepiamo in modo molto diverso quando stiamo immobili rispetto a quando corriamo. La danza ammorbidisce l’immagine del corpo, le toglie rigidità. Senza movimento non c’è né immagine del corpo né percezione del mondo che ci circonda. Quando guardiamo qualcosa il nostro occhio si muove. Se l’occhio resta fermo è la testa a muoversi e se la testa è immobile si muove il corpo. Inoltre, per percepire chiaramente un oggetto non ci basta vederlo, ci serve toccarlo. La nostra conoscenza del mondo non è il prodotto di un atteggiamento passivo, è il frutto di un’interazione, di un’attività motoria.
Un libro, dice l’autore, scritto per riparare a un’ingiustizia di cui è vittima l’obeso, la cui sofferenza è spesso derisa e minimizzata a dolore frivolo. Ma la ferita arriva nel profondo, impedisce di essere pienamente se stessi. E dimagrire non è solo perdere peso, ma richiede una trasformazione dell’essere, un cambiamento del modo di vedere il mondo e se stessi.
Per approfondimenti:
G. Apfeldorfer – Mangio, dunque sono – Marsilio, 1993