L’usanza di cucinare all’aperto ha origine antichissima: a cominciare dai popoli nomadi, tutti i paesi del mondo hanno prodotto varie forme del cosiddetto cibo di strada, preparato sul momento e venduto su bancarelle o in botteghe che si aprono sulla strada. Anche nella nostra cultura il popolo cittadino ha sempre vissuto gran parte della giornata nelle piazze, dove fervevano le attività lavorative e si radunavano le fiere e i mercati. Dalle tabernae romane, di cui sono rimaste testimonianze negli scavi di Pompei, ai venditori di cibo ambulanti del Medioevo, ogni città italiana ha sviluppato una versione locale per risolvere in modo pratico il problema della fame.
Troppo riduttivo però paragonare questo tipo di cibo al moderno fast food, originatosi in America ed esportato in tutto il mondo: il carattere locale legato alla cultura e alle attività produttive del luogo e la fattura di tipo artigianale lo differenziano profondamente dal cibo omologato che si può trovare negli asettici locali di una famosa insegna.
Passerò in rassegna la grande varietà di cibi offerta nelle regioni italiane, scusandomi per tutte quelle delizie che sicuramente non avrò nominato.
I cibi più diffusi sono le fritture, che prendono nomi diversi nelle varie città.
A Genova troviamo:
i frisceu, frittelle dolci o salate; le panizze, polenta di farina di ceci tagliata a listarelle, fritta e consumata con cipollotti, prezzemolo e olio d’oliva; i cuculli, frittelle di patate, pinoli e maggiorana, uova e parmigiano grattugiato e i cartocci di pesce.
A Napoli:
le crocchè di patate, crocchette di patate lessate e amalgamate con burro, uova, formaggi e scorza di limone grattugiata, a cui si dà la forma di palline prima di friggerle; la pasta cresciuta, pastella lievitata di acqua e farina, fritta a cucchiaiate; gli sciurilli, fiori di zucchine pastellati e fritti; gli scagliuzzi, fettine di polenta di mais soda e fritta che può essere farcita con provolone.
A Roma ci deliziano:
i filetti di baccalà, tranci di baccalà fritti dopo essere stati passati in una pastella di acqua, farina, sale e lievito di birra e i supplì di riso lessato e condito con ragù, uova battute, burro e parmigiano modellato a palle, in cui vengono inseriti pezzetti di mozzarella. Passati nella farina, uovo battuto e pan grattato sono fritti in olio d’oliva.
A Palermo abbiamo:
le arancine, grandi pallottole di riso ripiene di ragù o altro condimento, a forma sferica o piramidale impanate e fritte; i cazzilli, nome con cui sono chiamate in Sicilia le crocchette di patate; le panelle, frittelle di ceci con cui si farciscono i panini insieme ai cazzilli (altro che dieta iperproteica!).
Anche tra le focacce e le schiacchiate condite in vario modo troviamo una grande varietà:
i panzerotti e i calzoni, mezzelune di pasta di pane, sono farciti in vari modi nelle diverse aree del Sud. A Napoli con ricotta, parmigiano, mozzarella, pezzetti di salame o prosciutto; a Bari con cipolle, pomodorini, olive nere, capperi e acciughe; in Basilicata è tipico il calzone con bietole, olive nere, uvetta e peperoncino. Le tomasine, focacce tipiche di Modica (Ragusa) in cui la sfoglia sottile e rotonda, ottenuta da un impasto di semola di grano duro, acqua, lievito di birra e sale, è ripiegata fino a ottenere un rotolo allungato, spennellato con uovo battuto e cotto in forno. Il ripieno è costituito da ricotta vaccina, ragusano fresco a dadini, salsiccia, uova sode.
Le piadine romagnole, pane a forma di disco cotto sulla piastra, originariamente di terracotta refrattaria e attualmente di ghisa, che accompagna prosciutto, lardo, formaggio o salsiccia. Gli sfincioni palermitani, piccole pizze quadrate leggere, condite con cipolla, formaggio, origano e olive. La puccia, pagnotta piatta e poco lievitata, prodotta nel bellunese e composta prevalentemente da farina di segale e, in minor quantità, da farina di grano tenero, aromatizzata con cumino, finocchio o zigoinr, un origano selvatico locale. La pizza a libretto, così chiamata per l’usanza partenopea risalente al seicento di consumare la pizza piegata in quattro. Le farinate liguri, sottili focacce di farina di ceci, acqua e olio di oliva, insaporite con rosmarino. Le schiacciate toscane dolci o salate, con i friccioli.
Non mancano le frattaglie e le carni bollite, servite da sole o nel panino:
il lampredotto, nome dato in Toscana all’abomaso del bovino, tipico piatto fiorentino venduto in strada nel panino; la carnacotta, diffusa nel napoletano, comprende frattaglie, trippa, muso di vitellone, testina di agnello e di maiale. Il pani cà meusa, piatto della tradizione palermitana venduto nei mercati come Ballarò e Vucciria. Si tratta di un panino farcito con fette di polmone e milza di vitello bollite e scaldate in tegame con lo strutto. Può essere semplicemente condito con limone, o nella versione maritata, arricchito con caciocavallo. Il quarume, visceri di bovino cotti nel brodo con verdure che li insaporiscono. L’insalata di musso e carcagnola, preparata con il muso di manzo e la cartilagine del piede (nervetti) insaporita con carote, sedano, olio, aceto e sale. Piatto tipico della cucina siciliana.
E infine pesci e molluschi:
ricordiamo il polpo bollito, venduto al mercato della Vucciria e, nei chioschetti di Padova, i folpeti, moscardini lessati in acqua con alloro e succo di limone, tagliati a pezzi e conditi con prezzemolo, sale e pepe.
Per approfondimenti:
P. Gho — Dizionario delle cucine regionali italiane — Slow food editore, 2010