Negli ultimi anni anche in Europa si è diffusa la passione per la cucina giapponese, che ha portato a conoscere e apprezzare cibi prima mai visti.
Fra questi, le prugne umeboshi meritano veramente di essere trattate, sia per le loro potenzialità in cucina sia per le caratteristiche salutari che le hanno fatte entrare già 3000 anni fa nella medicina tradizionale cinese.
Dal punto di vista botanico si tratta dei frutti dell’albero Prunus mume, dal colore arancio scuro e in realtà più simili a un’albicocca che a una prugna.
Originario della Cina, è stato poi adottato in Giappone e, come sempre accade, in questo Paese ha assunto delle caratteristiche particolari; i frutti sono infatti più rotondi e carnosi e con sapore più acidulo di quelli che si trovano altrove.
Il frutto raggiunge le dimensioni massime a giugno ed è colto prima della maturazione, quando è ancora verde e il suo contenuto in acido citrico è massimo. Proprio questa sostanza conferisce infatti la maggior parte delle caratteristiche salutari attribuite a questo cibo molto antico: alleviare la fatica, contrastare il carico acido di alcuni cibi come le proteine animali, facilitare l’assorbimento intestinale di ferro, calcio e magnesio.
In Giappone sono simbolo di forza, utilizzate dai samurai per sostenersi in battaglia e dai lottatori di sumo, esaltate dalla macrobiotica come rimedio dopo eccessi alimentari, stanchezza, iperacidità di stomaco. Per la faringite si utilizzano i semi commestibili, ridotti in polvere e uniti a una tazza di tè verde bancha o sencha.
Al di là delle forse eccessive aspettative che la tradizione popolare ripone in questo cibo, alcuni effetti positivi potrebbero essere dovuti al gusto estremamente acido che stimola la salivazione e la mobilità gastrointestinale, facilitando la digestione e combattendo la stipsi; inoltre la stessa acidità avrebbe anche effetti antimicrobici, e la fibra contenuta nelle ume modificherebbe favorevolmente le flora batterica. In uno studio preliminare non sono stati dimostrati invece effetti sulle altre manifestazioni dovute a reflusso gastroesofageo.
La preparazione comprende varie fasi: le ume dopo essere state raccolte sono essiccate al sole e messe sotto sale nei barili per circa un mese, successivamente si mettono di nuovo a seccare su stuoie per eliminare il liquido residuo. Dopo una settimana si passa alla seconda fase rimettendole nei contenitori con foglie di shiso (o basilico cinese) che dona un colore rosso, e con acidulato di umeboshi, derivato dalla disgregazione dei frutti dovuta al sale nella prima fase di stagionatura, questo può anche essere imbottigliato e venduto come condimento.
Dopo un anno le umeboshi sono pronte, vendute in barattolo sotto forma di crema o intere, sono utilizzate in cucina, crude o cotte, nei piatti a base di riso e verdure dove possono sostituire il condimento.
Per noi, che non siamo molto abituati a gusti così acidi e salati, il primo assaggio può anche non essere un’esperienza troppo entusiasmante, ma utilizzandole in abbinamento con qualcosa di poco saporito, come del riso bollito senza sale, ci si può abituare e arrivare a trovarle piacevoli: nessuno ha detto che la via del samurai sia in discesa!
Per approfondimenti:
- G. Visci — Il nuovo nel piatto — Ponte alle Grazie, 2012
- Harmon BE, et al. — Nutrient Composition and Anti-inflammatory Potential of a Prescribed Macrobiotic Diet — Nutr. Cancer 2015;67(6):933-40. doi: 10.1080/01635581.2015.1055369
- Maekita T, et al. — Japanese apricot improves symptoms of gastrointestinal dysmotility associated with gastroesophageal reflux disease — World J Gastroenterol. 2015 Jul 14;21(26):8170-7. doi: 10.3748/wjg.v21.i26.8170