Nell’aprile del 1992 Chris McCandless si incamminò da solo negli immensi spazi selvaggi dell’Alaska. Due anni prima, terminati gli studi, aveva abbandonato tutti i suoi averi e donato i suoi risparmi in beneficenza: voleva lasciare la civiltà per immergersi nella natura. Non adeguatamente equipaggiato, senza alcuna preparazione alle condizioni estreme che avrebbe incontrato, venne ritrovato morto da un cacciatore, quattro mesi dopo la sua partenza per le terre a nord del Monte McKinley. Accanto al cadavere fu rinvenuto un diario che Chris aveva inaugurato al suo arrivo in Alaska e che ha permesso di ricostruire le sue ultime settimane.
È ancora possibile per l’uomo moderno sopravvivere a contatto con la natura selvaggia, lontano dai condizionamenti della società, procurandosi il cibo come i suoi progenitori cacciatori-raccoglitori? Questo libro racconta la storia vera di un ragazzo benestante alla ricerca della libertà assoluta. La sua tragica fine sembrerebbe dirci che per la sopravvivenza il supporto della tecnologia e dei nostri simili è essenziale.
Ufficialmente dichiarato morto per inedia, secondo l’autore il ragazzo nei momenti più drammatici si è cibato di Patata selvatica (Hedysarum alpinum), le cui radici sono commestibili, senza sospettare che verso la fine dell’estate i semi della stessa pianta si arricchiscono di alcaloidi velenosi (swainsonina) per non essere divorati dagli insetti. L’utilizzo di questi semi nel momento in cui le radici si erano fatte troppo fibrose per cibarsene, potrebbe aver segnato la sua condanna.
Le conoscenze acquisite con l’esperienza dai nostri progenitori del Pliocene-Pleistocene o Paleolitico, che probabilmente mai avrebbero assaporato imprudentemente quel seme tossico, sembrano ormai perse con il progredire dell’evoluzione. Se tornassimo ora alla vita selvaggia, riusciremmo a evitare l’estinzione?
Da questo libro il bel film di Sean Penn: Into the wild.
Per approfondimenti:
J. Krakauer — Nelle terre estreme — Corbaccio editore