
Sebastiano, Clorofilla e Ausilia — Fotografia scattata da Laura Imperadori
L’occasione si è presentata con la prima edizione del trail notturno «l’uno di Monticelli», 25,5 km e 1200 metri di dislivello percorsi tra sentieri e mulattiere della Franciacorta.
Ausilia e Sebastiano, una coppia nella vita e nello sport.
Hanno partecipato a diverse edizioni della Iditarod Trail Invitational, 1800 km sui ghiacci dell’Alaska, nella sezione ciclisti. Una competizione davvero al limite, la più dura al mondo: tundra sterminata e deserti di neve con condizioni climatiche estreme. Ne abbiamo già parlato con Marco Berni, sportivo bresciano, che ha fatto lo stesso percorso a piedi trainando una slitta e che ha reso possibile questa intervista.
Clorofilla: Come siete nati nello sport? Come ciclisti?
Ausilia: Io mi sono interessata tardissimo allo sport, son sempre stata esonerata da ginnastica. Ho iniziato più o meno a 28 anni con un po’ di arrampicata sportiva e poi subito con la bicicletta, partendo con distanze brevi. Man mano poi, stando nell’ambiente sportivo, si incontrano persone interessanti e la strada si fa da sé. Le gare sono diventate sempre più lunghe e con ogni tipo di bici.
Sebastiano: Anche io arrivo tardi alla bici, ho sempre fatto nuoto e basket. Poi mi sono rotto un ginocchio e ho dovuto cambiare tipo di attività. Provo lo stesso interesse di Ausilia per le lunghe distanze, che mi ha portato a scoprire questa straordinaria competizione in Alaska.
Clorofilla: Ausilia, la tua passione per la bici ti ha dato anche grosse soddisfazioni…
Ausilia: Sì, ho vinto il campionato del mondo della 24 ore di mountain bike e ho fatto le più lunghe randonnée. Rispetto a Sebastiano sono molto più agonista, forse perché sono donna.
(Le randonnée sono manifestazioni ciclistiche caratterizzate dalle lunghissime distanze e la più famosa è la Parigi-Brest-Parigi)
Clorofilla: Siete anche voi del parere che la componente principale in queste competizioni sia la testa e non le gambe?
Ausilia: Certo occorre arrivare preparati a eventi di questo tipo perché la componente fisica è fondamentale. Ad esempio io ho seguito una preparazione specifica in palestra per poter rinforzare busto e spalle e poter spingere la bici magari per molte ore. Ma la testa è ciò che permette di portare a termine queste esperienze. Tre anni fa abbiamo partecipato a una edizione della Iditarod in cui ha sempre nevicato e ci siamo trovati a spingere la bici per quasi tutto il tracciato. I primi due giorni avevamo una media di 1 km all’ora. In quei momenti devi avere la capacità di mantenere il controllo e andare avanti. Noi ad esempio, per distogliere la mente dalle difficoltà, contavamo i cigolii delle ruote della mia bici oppure elencavamo i cibi che avremmo voluto mangiare in quell’istante.
Clorofilla: Come gestivate l’aspetto dell’alimentazione?
Sebastiano: Avevamo appositi alloggiamenti sulla bici nella parte anteriore. Frutta secca, cioccolata, snack salati. Mangiavamo di continuo. Era tutto calibrato al grammo. Molto utili erano le buste di purè e di grana che, in un attimo e con poca acqua calda, diventavano un pasto ricco ed energetico. Anche il salmone essiccato e affumicato è molto utile, perché non ghiaccia ed è gradevole.
Ausilia: Certo non potevamo portarci tutto, quindi prima della partenza abbiamo spedito dei pacchi di cibo negli uffici postali dei villaggi che sapevamo avremmo incontrato sul percorso. A volte sono capitati imprevisti che mettevano a rischio la prosecuzione dell’avventura; una volta ci è capitato che un pacco è stato recapitato a 70 km rispetto al punto GPS che noi avevamo previsto. Il cibo comunque non bastava mai e quindi facevamo la scorta nei piccoli negozietti locali.
Clorofilla: Fame, ma anche tanta sete…
Sebastiano: Si, l’acqua non bastava mai. Sotto la giacca avevamo uno zaino con l’acqua, in modo che non ghiacciasse. La disidratazione è, paradossalmente, il rischio più grosso. La neve è tanta, ma a volte le condizioni non ci permettevano di fermarci e farla sciogliere. Inoltre ci sono lunghi tratti – anche di 400 km – in cui non c’è un villaggio.
Clorofilla: Che differenza c’è rispetto a competizioni al caldo estremo?
Ausilia: Nei deserti ho fatto gare a tappe, per cui mi fermavo ai punti ristoro e non c’era il problema di decidere cosa e quanto portarsi, tipico invece delle formule non-stop.
Clorofilla: Vi sono mai capitate vere e proprie crisi glicemiche?
Ausilia: Nella mia prima edizione si, ma è stato un errore di valutazione della stanchezza. Pensavo di essermi riposata a sufficienza, ma non era così. In questo Sebastiano è più saggio e sa calibrare meglio i riposi. La lezione però mi è servita molto per le edizioni successive.
Clorofilla: Usate integratori?
Sebastiano: In Alaska abbiamo portato dei sali minerali e degli aminoacidi. I sali li usiamo anche quando facciamo allenamenti di oltre 10 ore, ma devo dire che se sul percorso troviamo un’osteria con una buona birra ci fermiamo volentieri. Cerchiamo, anche in allenamento, di adattarci all’ambiente, di mangiare in base a quello che troviamo sul tracciato.
Clorofilla: Ausilia, in una competizione di 24 ore, come funziona l’approvvigionamento?
Ausilia: Dipende dal circuito e dalla situazione della classifica. Se sono tranquilla posso anche fermarmi a mangiare una pastasciutta, se invece non ho margine allora prendo quello che mi passa l’assistente al punto ristoro e mangio in bicicletta, magari in un punto tranquillo del tracciato. Mangio di tutto per fortuna, non ho mai avuto problemi col cibo.
Clorofilla: Cosa vi rimane poi nel cuore di queste esperienze?
Ausilia e Sebastiano: Il grande fascino è il dono di vivere quel momento unico e non pensare alla vita quotidiana. Una luce, un fuoco acceso, un pasto caldo diventano preziosi e indimenticabili.
La vera sfida non è percorrere 1800 km sui ghiacci dell’Alaska, ma vivere il quotidiano
Per approfondimenti:
- Marco Berni Adventures
- Italian Iditarod — Portale italiano dell’avventura in Alaska