È preferibile un cibo
anche un po’ nocivo ma gradevole,
a un cibo indiscutibilmente sano
ma sgradevole.Ippocrate di Cos
(460 a.C. circa – 377 a.C.)
È preferibile un cibo
anche un po’ nocivo ma gradevole,
a un cibo indiscutibilmente sano
ma sgradevole.Ippocrate di Cos
(460 a.C. circa – 377 a.C.)
Tutti noi nutrizionisti ne avevamo il sospetto: uno studio lo ha appena dimostrato. Un articolo pubblicato dalla rivista «Obesity» ha dimostrato che far perdere peso ai genitori è un sistema efficace per aiutare a controllare il peso dei loro ragazzi. La prova è stata condotta sulle famiglie di 80 ragazzi tra 8 e 12 anni, cui è stato proposto un programma di educazione alimentare e motoria: ai soli genitori oppure ai genitori e ai loro figli insieme. Ai genitori si è insegnato come correggere abitudini sbagliate che avrebbero potuto influenzare il peso loro e dei loro figli.
Rispetto agli studi precedenti, condotti dallo stesso gruppo, tra i risultati non sorprende che la perdita di peso sia dei genitori che dei figli è equivalente nei due gruppi, ma che l’efficacia sui figli sia proporzionale a quella sui genitori. In pratica, i figli che perdono più peso sono quelli i cui genitori dimagriscono di più.
La fascia di età ovviamente comprende preadolescenti, che hanno autonomia minore e che quindi sono ancora molto dipendenti dai genitori per i pasti; va detto anche che siamo a San Diego, in California, e non in una delle nostre città.
Probabilmente, a differenza di quanto accade da noi, i ragazzi non hanno accanto nonni o zii che spesso li approvvigionano di tutto ciò che i genitori eventualmente negano loro: in queste condizioni è indispensabile che il ragazzo sia responsabilizzato sul suo percorso, per evitare che i nostri sforzi siano vanificati.
Sicuramente però la convinzione del genitore nel cambiamento di stile di vita e l’esempio dato da una figura a cui il ragazzo guarda ancora con fiducia, sono più efficaci di qualsiasi percorso che possiamo proporgli. E tutto ciò può tradursi in un metodo di approccio al problema dell’obesità infantile. Ci volevano proprio dei californiani a farcelo sapere?
Fonti:
La salsa di soia o shoyu è un ingrediente tipico della gastronomia asiatica ottenuto dalla fermentazione della soia e del grano.
Nasce in Cina, ma si diffonde in tutto l’oriente, con consistenza e gusto differenti in base al luogo di produzione. Il tamari, ad esempio, è un tipo di shoyu usato in Giappone che ha la caratteristica di essere privo di glutine e quindi adatto ai celiaci (è consigliabile comunque leggere molto bene le etichette dei prodotti diffusi in Europa in quanto spesso utilizzano in modo improprio il termine tamari e possono contenere ingredienti diversi da quelli tradizionali).
La salsa di soia, quella vera, è tutta naturale. Gli ingredienti sono solo cinque: fagioli di soia, grano, lievito (come fermento viene utilizzato un fungo filamentoso detto Aspergillus oryzae o koji ), sale marino e acqua. La soia, dopo essere stata risciacquata e messa in ammollo, viene cotta in acqua bollente per 4 ore, mentre i chicchi di grano vengono tostati e frantumati in un mulino in modo da aumentare la superficie a disposizione del lievito. Quando la soia è raffreddata alla temperatura di 33°C si unisce al grano e al lievito; le proporzioni di questi tre ingredienti sono cruciali ma sono tenute segrete dalle diverse aziende produttrici. Il tutto viene lasciato in incubazione per circa due giorni all’interno di contenitori di legno, facendo attenzione che la temperatura non aumenti troppo. È noto da secoli che il fattore temperatura è fondamentale per garantire la buona riuscita della fermentazione, ma è grazie alla moderna tecnologia che se ne è scoperta la ragione: mantenere una temperatura al di sotto dei 40°C garantisce la massima produzione di idrolasi extracellulari da parte del fungo. Una indicazione che il procedimento è andato a buon fine si ha quando la superficie della miscela è ricoperta da un sottile strato di muffa bianca senza segni di contaminazioni da altre specie del genere Aspergillus (queste si presenterebbero di colore scuro, verde o nero).
Al termine della fermentazione si aggiunge una salamoia (costituita da sale e acqua) e quindi il tutto è lasciato fermentare all’interno di vecchie botti di legno per 6-12 mesi, a seconda dell’intensità del sapore che si vuole ottenere. La miscela così ottenuta, detta miromi, deve essere rimescolata spesso, soprattutto all’inizio, per fare in modo che il lievito resti attivo. L’impasto risultante, dall’aspetto poco gradevole, viene filtrato e il liquido così ottenuto è sottoposto a pastorizzazione. La parte solida rimasta viene in genere utilizzata come mangime per animali.
Il gusto tipico di questa salsa è noto con il termine umami ed è determinato da una serie di composti tra cui l’acido glutammico e l’acido aspartico derivanti dall’idrolisi enzimatica delle proteine della soia e dal glutine del frumento.
Purtroppo oggi in Europa non è infrequente trovare prodotti a basso costo preparati a partire non da soia intera, come vuole la tradizione, ma da proteine idrolizzate con l’aggiunta di caramello per mimare il colore originale.
La salsa di soia è un ottimo insaporitore, da usare comunque con moderazione in quanto molto salata; va aggiunta a fine cottura per preservarne le proprietà e poi deve essere conservata in frigorifero.
Composizione per 100 g di parte edibile:
Fonti:
Spesso ci preoccupiamo, e non a torto, per la presenza di sostanze chimiche nel nostro piatto, ma dimentichiamo che lo scorso anno in Italia ci sono state almeno 220 epidemie di origine alimentare.
La relazione annuale dell’EFSA (European Food Safety Authority) ci aiuta a ricordare che non possiamo sottovalutare questi rischi, ma anche che la difesa è possibile. I risultati infatti mostrano una tendenza al calo delle infezioni da Salmonella: lo scorso anno ha colpito “solo” 99 000 persone in Europa. Questo miglioramento è sicuramente dovuto alle precauzioni prese dagli allevatori di pollame. Al contrario sono leggermente aumentati, a oltre 200 000, i casi di infezione da Campylobacter, diventando motivo di attenzione da parte degli specialisti.
Un altro misterioso microrganismo pericoloso?
Il Campylobacter jejuni è un batterio che vive tranquillamente nell’intestino degli uccelli per cui anche dei polli e dei tacchini; però, ed è questo l’unico mistero, viene ritrovato qualche volta anche nei suini, nei bovini e persino nel latte crudo. Queste sono perciò le fonti principali di infezione.
In realtà è un microrganismo sensibile alla temperatura, all’essiccamento, all’ambiente acido, al sale e all’ossigeno: ciò significa che viene facilmente inattivato dalla maggior parte dei mezzi di conservazione come la cottura, il congelamento, la salamoia, ma anche dall’esposizione all’aria.
Come spesso succede, le infezioni umane probabilmente sono fino a 40 volte più numerose di quelle di cui abbiamo notizia per diversi motivi: non determinano sintomi acuti, vengono confuse con generici disturbi intestinali e non durano più di qualche giorno (meno di una settimana). Si rivolge al medico, in genere, solo chi ha febbre, diarrea, dolori addominali e nausea. Raramente ci sono conseguenze più gravi, eccetto ovviamente in soggetti già debilitati per altri motivi o nei bambini fino a 5 anni. Tra le conseguenze peggiori, secondo alcune teorie, vi è la sindrome dell’intestino irritabile e, purtroppo, la sindrome di Guillain-Barré. Quest’ultima è una malattia autoimmune degenerativa del sistema nervoso che colpisce circa 1 persona ogni 1.000 che hanno segnalato sintomi importanti. Non sono state riportate conseguenze gravi in gravidanza, sia per le mamme sia per i bambini.
C’è un rischio epidemia?
L’EFSA monitora attentamente la situazione in Europa, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il CDC (Center for disease control and prevention) sorvegliano il resto del mondo e per ora non ci sono segnali pericolosi. Si tratta probabilmente di una normale evoluzione, a meno che non compaiano ceppi resistenti agli antibiotici più comuni: un altro motivo per evitarne l’uso se non strettamente necessario.
Per il momento l’obiettivo è assicurarsi che le procedure igieniche siano efficaci e soprattutto vengano rispettate dall’industria alimentare, per evitare che un alimento infetto possa diffondersi in tutta Europa.
Come difendersi?
Le precauzioni igieniche nel trattamento degli alimenti sono sempre le stesse!
Per evitare di contaminare altri alimenti: lavare le mani con sapone dopo che si è toccata la carne cruda, se possibile lavare la carne, soprattutto quella di pollame ed evitare il contatto diretto con altri alimenti, specialmente se devono essere consumati crudi, come la verdura.
Attenzione anche alla contaminazione proveniente da feci di uccelli, compresi quelli domestici.
Evitare di mangiare alimenti pronti perché potrebbero essere entrati in contatto con altri contaminati, soprattutto se non siete sicuri delle procedure igieniche del produttore.
Attenzione anche al latte crudo: è considerato a rischio.
Non creano problemi gli alimenti sottaceto o in salamoia, se correttamente preparati.
L’unica vera difesa è però la cottura ed evitare soprattutto di dare carne e latte crudi a bambini e ammalati.
Fonti:
La Scuola di Ancel aderisce alla Settimana mondiale 2012 dedicata alla riduzione del consumo di sale (26 Marzo — 1 Aprile 2012) promossa dal WASH (World Action on Salt and Health) e sostenuta dalla SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana).
Il tema dedicato al 2012 è l’informazione del pubblico sui benefici legati alla riduzione dell’assunzione di sale nei confronti della prevenzione dell’ictus cerebrale. Il messaggio intende diffondere alcune indicazioni pratiche dirette ai consumatori per una scelta consapevole di alimenti meno ricchi in sale per i diversi pasti della giornata.
Il controllo del sodio può essere realizzato nella vita di tutti i giorni senza eccessiva difficoltà, seguendo i consigli che seguono:
Alimenti da privilegiare
Fonti:
La Scuola di Ancel
Nutrizione Informazione Prevenzione
Quotidiano online a carattere scientifico
Autorizzazione del tribunale di Roma n. 290/2013 del 12 dicembre 2013
by Luca Belli, Francesco Bonucci, Roberto Casaccia, Mariarosa Di Lella, Elisabetta Iafrate, Laura Imperadori, Rosa Lenoci, Eliana Marchese, Dario Padovan, Giuliano Parpaglioni, Tiziana Stallone (authors), Gianluigi Marabotti (designer)
is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.
Based on a work at www.lascuoladiancel.it.
Permissions beyond the scope of this license may be available at http://www.lascuoladiancel.it.