L’uomo ha raggiunto un completo onnivorismo, che gli ha permesso di adattarsi alle condizioni di vita più estreme, introducendo nella propria dieta i nuovi alimenti disponibili nell’ambiente.
Oltre alla necessità, però, un desiderio di novità che supera il semplice bisogno di nutrirsi lo ha spinto ad arricchire la sua dieta: il consumo di cibo infatti per la nostra specie è pieno di valori e aspettative che hanno dato origine alla gastronomia. Questo insieme di tecnica e sapere, elaborato in tutte le culture, permette di preparare lo stesso alimento in mille modi diversi.
L’aspetto culturale dell’alimentazione ha suscitato l’interesse, fra gli altri, del movimento futurista, un’avanguardia i cui seguaci abbracciavano tutti gli aspetti dell’arte: letteratura, pittura, fotografia, teatro, musica, architettura. Questo movimento rivoluzionario si poneva lo scopo di stravolgere i valori tradizionali e di sostituirli con quelli più consoni alla vita moderna: velocità, forza, dinamismo, creatività.
L’uomo del futuro doveva avere quindi anche un modo di alimentarsi adeguato, con nuove regole in cucina, che lo rendesse più agile e scattante, ribadendo il concetto che siamo quello che mangiamo.
Nel 1931 fu dunque pubblicato il Manifesto della cucina futurista, che auspicava fra le altre cose:
Abolizione dell’uso di forchetta e coltello, dei soliti condimenti, del peso e del volume degli alimenti per valutarne il valore nutritivo, auspicando la realizzazione di pietanze mutevoli e nuove, in piccoli bocconi carichi di mille sapori in uno, sotto consiglio di chimici e poeti, ma anche di musicisti e profumieri. Una cucina che accostasse alle pietanze profumi, musiche, poesie e sapori inusuali.
La nuova cucina si doveva inoltre avvalere di strumentazione scientifica: ozonizzatori o elettrolizzatori per scomporre i preparati negli ingredienti di base, lampade UV per attivare gli alimenti e indicatori chimici per misurare l’acidità, la basicità e la salinità.
Ma la cosa più rivoluzionaria, viste le tradizioni italiane, è l’abolizione della pastasciutta, definita «assurda religione gastronomica italiana». Poco nutriente, aveva fra l’altro il difetto di predisporre al pacifismo, oltre ad appesantire e rendere poco dinamico il popolo italiano. I napoletani devono, secondo il manifesto, il loro carattere scettico e ironico proprio al frequente consumo questo piatto.
In realtà il movimento, che intanto aveva allargato i suoi campi di interesse alla politica, strizzava l’occhio all’autarchia fascista, che cercava di promuovere il consumo di riso, liberando l’Italia dall’acquisto del grano straniero, grazie alla famosa “battaglia del grano”.
Le nuove regole auspicate furono messe in pratica a Torino nel 1931, dal pittore Luigi Colombo (in arte Fillia), con l’inaugurazione di un ristorante: La taverna del santopalato.
L’ambiente era arredato in alluminio, il cibo servito senza posate, in sottofondo musiche di Wagner e profumi, mentre insieme al cibo si portavano a tavola cuscinetti di carta vetrata, seta rossa e velluto nero da accarezzare, per risvegliare contemporaneamente tutti i sensi.
Fra i piatti serviti una serie di preparazioni plastiche, fra cui il “carneplastico” ideato da Fillia stesso, che riproduceva i paesaggi italiani: costituito da una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita, ripiena di molti tipi di verdure cotte, incoronata da miele e sostenuta alla base da una salsiccia.
Personalmente non mi rammarico troppo di non aver potuto provare questi piatti, ma bisogna ammettere che nella sua originalità e bizzarria questo movimento ha precorso i tempi, anticipando alcune evoluzioni della gastronomia moderna: finger food, uso di apparecchiature scientifiche che trasformano la cucina in un laboratorio chimico, esaltazione dell’estetica nella presentazione dei piatti sono poi diventati di moda, per i seguaci della nouvelle cousine e dei gastronomi molecolari sempre in cerca di novità, annoiati dal tradizionale e confortevole piatto di pastasciutta.
Per approfondimenti:
- J. Dickie — Con gusto — Laterza, 2009
- L. Grandi, S. Tettamanti — Racconti gastronomici — Einaudi, 2012
Davvero molto interessante, non avevo mai considerato questo aspetto del futurismo. Ineffetti si possono notare alcune caratteristiche che ricordano il finger food e la nouvelle cousine. Del resto il futurismo era una corrente di estrema avanguardia che rendeva tutto energico e veloce che esaltava “lo schiaffo ed il pugno”. Non oso immaginare le altre pietanze. Continuo a preferire lo slow food 🙂