Ecco il primo articolo di una interessante trilogia sul gusto
Cos’è il sapore? Cominciamo dalla sua radice etimologica: «sapio». Possiamo tradurre questo verbo latino in due modi: nella forma transitiva come «sapere o conoscere» e in quella intransitiva come «aver sapore di». Esiste quindi una forte affinità tra sapore e conoscenza; non è forse attraverso il gusto, tanto per fare un esempio, che il neonato fa le sue prime esperienze con il mondo esterno? Esistono ricerche che dimostrano, addirittura, come la sensibilità gustativa sia funzionante già in utero.
Ma sapore e gusto sono la stessa cosa? E quali sono le sensazioni elementari che percepiamo tra lingua e palato? Risponderemo più avanti alla prima domanda. Occupiamoci per ora dei sapori e prendiamola un po’ alla lontana, ne vale la pena.
Aristotele (384-322 a.C.) individua sette sapori fondamentali: dolce, agro, aspro, astringente, acido, pungente, amaro e due sapori derivati, il «grasso» dal dolce e il «salato» dall’amaro. Una sorta di continuum come quello della percezione dei colori tramite la vista. La Scuola Salernitana (siamo già nel XII secolo) aggiungerà poi, a quelli individuati da Aristotele, il sapore «insipido».
Verso la metà del 1700 Linneo ipotizza dieci qualità gustative: umido, asciutto, acido, amaro, grasso, astringente, dolce, agro, mucoso e salato. Ma è tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento che le sensazioni di base universalmente riconosciute dalla comunità scientifica si riducono a quattro: dolce, amaro, acido e salato. Fick, già nel 1864, fu probabilmente il primo a proporle e qualche decennio più tardi si accese il dibattito se esse fossero da considerare come classi indipendenti (secondo Cohn, 1914) oppure come un continuum in senso aristotelico (secondo Henning, 1916).
E oggi? Cosa sappiamo dei sapori fondamentali? Sono ormai ben noti i meccanismi attraverso i quali i recettori nervosi, organizzati all’interno delle papille gustative, rispondono alla stimolazione chimica provocata dal contatto con specifiche molecole disciolte nella saliva. Essi sono distribuiti in modo abbastanza omogeneo sulla mucosa della lingua e del palato e non, come erroneamente spesso si sente dire, in zone distinte: dolce sulla punta, amaro al centro della lingua, acido e salato sui margini laterali.
La dizione sapori fondamentali viene usata perché la percezione in bocca è solo il primo passaggio nella formazione del gusto dei cibi. Quando le molecole disciolte nella saliva si legano al recettore inizia, infatti, una serie di eventi elettrochimici nella quale la trasduzione del segnale rappresenta il primo anello di una catena che condurrà infine l’informazione a livello centrale. È solo qui che avverrà, finalmente, la vera «costruzione del gusto».
Attualmente la comunità scientifica riconosce cinque sapori di base. La quinta sensazione fondamentale, poco nota nonostante siano ormai passati decenni dalla sua scoperta, è l’umami. Il termine umami significa «sapore delizioso»; questo nome fu attribuito nel 1908 da un professore dell’Università di Tokyo: Kikunae Ikeda. Fu lui a identificare questa nuova sensazione, non riuscendo a classificare altrimenti quanto percepito nell’assaggio del kombu dashi, cioè il brodo dell’alga kombu.
L’esistenza o meno del gusto umami è stata a lungo dibattuta finché ricerche più recenti hanno permesso di identificare, anatomicamente e fisiologicamente, il suo recettore nei mammiferi, confermando così l’intuizione di Ikeda. Questo recettore, negli animali, viene stimolato da tutti gli L-amminoacidi, mentre nell’uomo interagisce solo con il glutammato e l’aspartato. È interessante notare che l’umami e il dolce condividono la stessa famiglia di recettori e ciò fa ipotizzare una comune origine evolutiva. Del resto ciascuna delle percezioni fondamentali ha un suo significato biologico. Il sapore dolce è associato ai composti a elevato contenuto energetico. Il sapore salato e il sapore acido danno al nostro organismo informazioni rilevanti per quanto riguarda, rispettivamente, l’equilibrio elettrolitico e quello acido-base. Il sapore amaro è un segnale di pericolo: molti veleni sono infatti amari. La percezione del sapore umami può essere pertanto attribuita, dal punto di vista evolutivo, alla possibilità di soddisfare il fabbisogno proteico. Questa ipotesi è confermata dall’azione sinergica svolta dalle purine (abbondantemente presenti nelle carni), insieme al glutammato, nell’attivazione dei recettori.
È la fine della storia? Non lo possiamo dire. Ricerche recenti già ipotizzano l’esistenza di altre sensazioni che potrebbero avere un significato biologico-evolutivo e per le quali potremmo essere tuttora dotati di recettori specifici ancora non individuati. Si discute, ad esempio, di un possibile sapore grasso e del sapore metallico. Staremo a vedere.
Per approfondimenti:
- R. Cavalieri — Il palato dei filosofi — Dialegesthai, 2011
- M. Tizzano — Il “metabolismo” del sapore — Tesi di Dottorato
- Lindemann B, et al. — The discovery of umami — Chem Senses. 2002 Nov;27(9):843-4
- Chandrashekar J, et al. — The receptors and cells for mammalian taste — Nature. 2006 Nov 16;444(7117):288-94
Articoli correlati