La ricerca sul gusto è di grande interesse, sia per il significato fisiologico dei sapori che lo stimolano, sia perché l’industria alimentare ha sempre cercato di scoprire quali molecole ne sono responsabili per sintetizzarle e rendere più appetibili i cibi.
Oltre ai quattro sapori fondamentali con il loro ruolo evolutivo (dolce — assicurare le riserve energetiche, salato — mantenere l’equilibrio elettrolitico, acido — monitorare il pH, amaro — evitare sostanze tossiche come gli alcaloidi) all’inizio del secolo scorso fu individuato e studiato anche un quinto gusto determinato dal consumo di cibi proteici e denominato “umami”, cioè sapido, delizioso. L’amminoacido glutammato che ne è all’origine fu isolato dalle alghe Kombu nel 1908 dal ricercatore giapponese Kikune Ikeda. Si tratta di un amminoacido sintetizzato dal nostro organismo, presente sia in forma libera sia legato alle proteine nella maggior parte dei cibi: carne, pesce, verdure, latte. Oltre ad avere un sapore gradevole, svolge importanti funzioni come neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale ed è precursore del GABA (acido gamma-amminobutirrico), un neurotrasmettitore inibitore. Importante per le funzioni cognitive, dell’apprendimento e della memoria, in dosi eccessive il glutammato può causare danni neuronali, sclerosi progressive e morbo di Alzheimer.
Il riconoscimento ufficiale a livello mondiale come gusto a sé ci fu quando il ricercatore Nirupa Chaudhari clonò il recettore del glutammato localizzato sulla lingua (mGluR4) molto meno sensibile rispetto alla forma che agisce nel cervello, e quando furono individuate le fibre nervose e l’area cerebrale coinvolte nella trasmissione e recezione del suo stimolo; tali aree sono distinte rispetto a quelle utilizzate dagli altri gusti. Questi studi scientifici avvalorarono le precedenti analisi sensoriali effettuate mediante panel di assaggiatori.
Un altro importante contributo alla comprensione del gusto umami fu dato dai ricercatori Kodama e Kuninaka che isolarono dal tonno essiccato e dai funghi Shiitake il nucleotide GMP (guanosina-5’-monofosfato), prodotto di degradazione dell’RNA fermentato. La loro intuizione più interessante fu quella di individuare la capacità dei 5’-nucleotidi di esaltare il gusto umami, probabilmente favorendo il legame del glutammato col suo recettore.
A questa sinergia si possono attribuire certi abbinamenti di cibi particolarmente fortunati e tradizionalmente rispettati dalle cucine sia occidentali che orientali. È importante sottolineare quindi che il gusto umami non è legato solo alle cucine esotiche, ma è stato sempre significativamente presente anche nelle nostre tradizioni alimentari: basti pensare al garum o liquamen, la salsa di pesce fermentato utilizzata nella cucina romana già nel II secolo per insaporire i cibi. Nella cucina italiana il parmigiano ben stagionato, ricchissimo di glutammato (9847 mg/100 gr legato e 1200 mg/100 g libero) ma anche di AMP (adenosina monofosfato), rappresenta un modo per dispensare sapore a un piatto di pasta condita con pomodoro. Il pomodoro, elemento sostanziale della nostra tradizione gastronomica con le altre verdure ricche di GMP, viene utilizzato per insaporire piatti a base di carne o pesce ricchi di IMP (inosina monofosfato).
Nella cucina giapponese l’AMP del pesce e dei crostacei esalta il glutammato delle alghe nel sushi, mentre il tonno essiccato (anch’esso ricco di AMP) costituisce con le alghe un ingrediente del brodo dashi, alla base di molti piatti giapponesi.
La presenza di amminoacidi e nucleotidi liberi, e quindi il loro gusto, aumenta in seguito a vari tipi di processi: la lunga cottura delle salse e dei brodi, la maturazione della verdura (evidente nel pomodoro), la frollatura della carne, la lunga stagionatura delle carni conservate (prosciutto) in cui si ha una idrolisi proteica a carico della parte muscolare, e dei formaggi, in cui avvengono cambiamenti primari dovuti ai microrganismi e secondari dovuti agli enzimi. Una curiosità riguardo le modifiche enzimatiche che avvengono nel post mortem del pesce e influiscono sul suo gusto: l’ATP è degradato a IMP, un prodotto intermedio desiderabile per la sua capacità di esaltare i sapori in sinergia con il MSG (glutammato monosodico). Il massimo picco nella concentrazione di questa sostanza lo abbiamo dopo due giorni nel pesce conservato a 4° C. Dal terzo giorno, come dice il celebre proverbio, cominciano ad affiorare i sapori sgradevoli dovuti all’aumento di ipoxantina.
Per quanto riguarda la sicurezza d’uso come additivo alimentare, il glutammato è stato classificato nell’unione europea come esaltatore di sapidità e siglato E621; inizialmente gli fu attribuita una serie di manifestazioni denominata “sindrome da ristorante cinese”, riscontrata in alcuni soggetti in seguito ad assunzione di cibo cinese e caratterizzata da vampate, difficoltà a respirare, formicolio, nausea, debolezza. Successivamente questo fu smentito. La possibile neurotossicità fu presa in considerazione in molti studi effettuati su topi e ratti somministrando agli animali dosi fino a 40 volte più alte di quelle che si raggiungono nel plasma umano in seguito alle condizioni di uso normali, ma questi non hanno dimostrato pericoli derivanti dall’uso di questo additivo.
L’utilizzo di questo componente, coadiuvato dai nucleotidi, può svolgere funzioni positive nelle diete iposodiche in alternativa al sale da cucina (contiene infatti il 12,3% di sodio contro il 40% del sale da cucina) e per tutti quei soggetti, come gli anziani e i malati di cancro soggetti a chemioterapia, in cui c’è perdita di appetito e sensibilità al gusto.
La scoperta che questo sapore è indipendente dagli altri ed è presente naturalmente nel cibo, però, ci deve spingere a imparare a riconoscerlo e a gustarlo anche abbinando gli alimenti giusti, in modo da ottenere dei cibi appetibili utilizzando meno grassi e sale da cucina, educando il nostro palato a una maggiore attenzione a ciò che ingeriamo.
Fonti:
- Jinap S, Hajeb P — Glutamate. Its applications in food and contribution to health — Appetite. 2010 Aug;55(1):1-10
- Chaudhari N, et al. — A metabotropic glutamate receptor variant functions as a taste receptor — Nat Neurosci. 2000 Feb;3(2):113-9