Stracchino e un po’ di bieta, in questo consisteva ormai la spesa di Elena. Certe volte, quando le sembrava di sentire dentro più speranza del solito, prendeva pure un etto di bresaola.
Conosceva bene tutti i banchi del mercato, sapeva chi aveva la merce migliore e chi rubava sul peso. Tanti anni da casalinga militante le avevano fruttato un’esperienza invidiabile e il rispetto di pizzicagnoli e macellai, un patrimonio che adesso però non le serviva più: era sola e con poca voglia di mangiare.
Da giovane, attraversava quel mercato come un reggimento di lancieri, dritta e gagliarda, con seni e fianchi imponenti e immobili, mentre incedeva. Fare la spesa allora la riempiva di gioia, era felice, addirittura orgogliosa di occuparsi del marito e del figlio, di nutrirli, di scegliere per loro il prosciutto più magro e le mele più dolci (alle altre clienti no, ma a lei permettevano di toccare la frutta).
Le cose erano molto cambiate, da allora.
Le premurose perlustrazioni dell’epoca tra le bancarelle avevano lasciato il posto a incursioni rapide e svogliate, senza più il piacere della scelta attenta e appassionata. Elena arrivava, omaggiata dai venditori come una regina che passi in carrozza per un quartiere popolare, acquistava quantità omeopatiche di cibo, salutava tutti e tornava a casa.
Fare la spesa non è solo un approvvigionarsi di alimenti. Ci dice molto di una persona, della sua vita, dei suoi affetti, ma anche della cura che ha di sé stessa e dei sui cari.
Per approfondimenti:
Marco Presta — Il piantagrane — Einaudi, 2012